giovedì 17 luglio 2008

La giustizia non esiste (dimostrazione 3)


  • Che il fisco adotti tutta una serie di espedienti per individuare eventuali evasori “transeat”.

  • Che a fronte di un sospetto, il povero cittadino sia sottoposto ad un controllo approfondito “passi pure”.

  • Che il sospettato sia obbligato a dimostrare tutto il suo comportamento “può essere ancora sopportato”.

Ma alla fine di tutto ciò:

  • Che lo Stato pretenda di tassare i malcapitati soltanto in base a delle supposizioni suffragate da astrusi e grossolani calcoli teorici

  • Che il povero suddito sospettato non abbia nemmeno il diritto di difendersi a meno di non ricorrere a sue spese ad una Commissione Tributaria

  • Che se però desidera difendersi (ovviamente anche essendo nel giusto) egli deve prima versare comunque un terzo dell’assurda richiesta e rimanere poi in attesa che in un certo numero di anni qualcuno deciderà di esaminare il suo caso E’ VERAMENTE TROPPO e dimostra soltanto che evidentemente lo Stato non ha in nessuna considerazione i cittadini e li tratta come dei SUDDITI DA SCHIAVIZZARE E DA SFRUTTARE.

Dopo quello che mi è capitato e che esporrò successivamente, non posso fare a meno di ricordare quanto diceva un mio vecchio amico già da anni riferendosi al fisco italiano: esiste la NCO (Nuova Camorra Organizzata) ma anche la VCL (Vecchia Camorra Legalizzata); infatti a giudicare dalle istruzioni impartite agli uffici periferici da chi gestisce il fisco, è difficile scacciare l’idea che costoro hanno preso lezioni di comportamento appunto dalle organizzazioni mafiose; in più però le loro regole sono “legalizzate” e quindi a differenza delle organizzazioni camorristiche, essi non possono essere perseguiti in alcun modo.

Sento spesso Capi di Stato ed esponenti del Governo insistere sul fatto che i cittadini debbano avere fiducia nelle Istituzioni, ma mi domando in virtù di quale comportamento giusto noi poveri sudditi invece possiamo veramente aderire a questi inviti.

La prova ultima di come siamo bistrattati e di come quanto ho già affermato corrisponde a verità, la potrete avere semplicemente apprendendo quello che è capitato a me e che può essere considerato un esempio emblematico del comportamento prepotente di chi è investito dell’autorità di controllare il comportamento fiscale di un qualunque individuo di questo sventurato Paese.

Sono un Dirigente di Banca in pensione, ero sempre stato un esperto di informatica del suo Centro Elettronico fino a diventare il “responsabile dello sviluppo hardware e software” della banca; nel 1991 avevo optato per un pensionamento anticipato soltanto per poter in cambio offrire un posto di lavoro in Banca ad un mio figlio. Per mia fortuna e data la mia carica, ero e sono titolare di un buon assegno di pensione con il quale posso vivere più che decorosamente; ma la mia passione per l’informatica che non mi ha mai abbandonato (ad oggi sono 48 anni che vivo nell’ambiente) mi spinse fin dal 1991 ad aprire una partita IVA per effettuare una piccola attività di consulenza ad un’azienda di Telese Terme (BN) di un mio vecchio amico ed ex collega.

La mia scelta era stata spinta non da motivi economici ma più che altro:


  • per poter continuare a studiare la mia materia evitando di diventare obsoleto entro breve tempo

  • per tenere in esercizio il mio cervello

  • per aiutare un vecchio amico e la sua Azienda a progredire

  • per non sentirmi inutile

  • per continuare a raccogliere qualche soddisfazione ancora, oltre le tante avute finanche in ambiente internazionale nel passato

Mi facevo pagare poco e andavo a Telese soltanto quattro volte al mese e solo per qualche necessità eccezionale dell’azienda vi dedicavo qualche ora in più del concordato. Dal 1991 a oggi ho lavorato così, su ogni fattura ho fatto guadagnare allo Stato l’IVA che l’azienda mi liquidava; su questi piccoli guadagni ho versata tutta l’IRPEF dovuta che come si può immaginare mi è stata tassata ad una aliquota piuttosto alta poichè gli introiti dell’attività autonoma venivano aggiunti a quelli preponderanti della mia pensione; insomma nel mio piccolo ho contribuito anch’io agli introiti dell’erario in maniera più che proporzionale ai miei guadagni.

Avevo molte spese anche perché il luogo di lavoro era ad oltre 100 Km. di distanza dalla mia residenza (vivo a Gaeta –LT-), ma a me bastava che i guadagni coprissero le spese e le tasse da versare in quanto come ho detto prima gli introiti dell’attività erano motivati da ragioni tutt’altro che economiche.

La cosa è andata avanti così fino a tutto l’anno 2006 e quindi per ben 15 anni ho contribuito fortemente allo sviluppo dell’Azienda che realizza software per gli enti locali e che anche con il mio aiuto ha raggiunto un livello di qualità di primo livello nell’ambito nazionale.

Ma alla fine del 2006 mi è pervenuta una “missiva” dell’Agenzia delle Entrate che mi invitava a recarmi negli Uffici di Formia per giustificare il motivo dei miei guadagni dichiarati per l’anno 2000 che a giudizio del fisco non erano corretti.

In poche parole il mio commercialista mi spiegò che la lettera (prodotta da un computer dell’Agenzia delle Entrate centrale) aveva applicato i cosiddetti parametri vigenti per l’anno 2000 ed aveva calcolato un guadagno teorico che per la mia attività doveva essere di 103 milioni di lire circa e non 26 milioni circa come da me dichiarato e che pertanto il mio imponibile era stato di ben 77 milioni di lire inferiore a quello da loro fissato con i parametri.

Seguiva tutto un calcolo su quanto io avrei dovuto versare allo Stato per questa differenza che tenendo conto di more, interessi e varie si traduceva in un mio debito di circa 55 milioni di lire per il solo anno 2000. Ovviamente la cosa era così assurda che inizialmente non mi spaventò per nulla perchè da una mia analisi capii che i parametri fissavano un guadagno teorico di un informatico del mio livello ma che naturalmente avesse lavorato per un anno intero a tempo pieno e verificai anche che poiché un lavoratore a tempo pieno lavora per 1.920 ore in un anno, io che ne avevo lavorate (documenti alla mano) soltanto 408 quindi in part-time al 21%, dichiarando 26 milioni di lire ero oltre tutto anche coerente con i parametri adottati dal fisco.

Ma poi quello che più contava era che in effetti io avevo fatturato fino all’ultima mia ora di lavoro, avevo versato sia IVA che IRPEF su tutti gli effettivi guadagni e quindi NESSUNO avrebbe mai potuto pretendere di darmi dell’evasore e chiedermi altre cifre oltre quelle già versate. Il commercialista provò a spiegarmi che quelli dell’Agenzia delle Entrate però qualcosa avrebbero comunque voluto “grattare” ma io fui inflessibile, non tanto per non pagare, ma perché pagando avrei indirettamente ammesso di essere un evasore, cosa assolutamente non vera.

Preparai un documento dettagliato, nel quale chiarii che il mio era un lavoro part-time, che il mio tenore di vita era funzione esclusivamente del mio assegno di pensione e che comunque ero disposto ad accettare qualunque controllo contabile o di qualunque genere che potesse dimostrare il contrario. Non potetti partecipare all’incontro al quale andò soltanto il mio commercialista in quanto io ero impegnato in quel giorno a Roma per una visita medica fissata tanti mesi prima; al mio ritorno il commercialista mi consegnò un verbale del contraddittorio nel quale l’impiegato interessato diceva che sentite e lette le mie ragioni proponeva di ridurre il maggior imponibile calcolato da 77 milioni a 58 milioni di lire e che poiché il mio rappresentante come a me richiesto, si era rifiutato di accettare l’offerta, mi sarebbe stato fatto un accertamento per l’intera cifra (quindi 77 milioni di lire).

A tutt’oggi sto aspettando questa richiesta ufficiale (il così detto accertamento) alla quale dovrò fare opposizione e l’unico modo per farlo sarà di ricorrere alla Commissione Tributaria di Latina, ma la legge prevede che affinché un cittadino possa far valere le sue ragioni deve pagare, infatti deve prima versare il 33% della cifra pretesa dallo Stato (nel mio caso 18 milioni di lire) cifra che se fra un certo numero di anni mi daranno ragione, mi sarà restituita. In più mi dicono che in ogni caso non avrò mai diritto nè al rimborso delle spese sostenute per difendermi, né tantomeno ad alcun indennizzo per i danni morali e reali ricevuti.

Intanto ho immediatamente chiusa la partita IVA, non ho voglia di avere più a che fare con simili masnadieri, ed osservo che se io l’ho potuto fare visto che posso vivere senza problemi con la mia pensione, qualcun altro invece sarebbe costretto a continuare ad essere perseguitato, non potendo fare a meno di lavorare per vivere.

Vorrei REGALARE il mio lavoro al mio amico di Telese e alla sua Azienda, ma non ho la possibilità di farlo, sia perché detta Azienda ha paura di accettare i miei regali, sia perché se lo Stato lo scoprisse, direbbe che non è vero e pretenderebbe da me delle tasse assurde su guadagni mai realizzati.

Osservo poi che quando i media parlano di enormi cifre di evasione fiscale, è il caso di ridimensionare abbondantemente dette cifre, perché è certo che le cifre dell’evasione vengono calcolate con l’utilizzo di parametri che nulla hanno a che vedere con la realtà; basti pensare alla cifra che hanno chiesto a me per il 2000 per rendersene conto.

Intanto io sto diventando un esperto delle regoli fiscali, e contino a scoprire le mille angherie a cui i contribuenti sono sottoposti; le regole sono sempre più assurde, la giustizia ha sempre due facce che sono assolutamente diverse e opposte a seconda che le regole debbano essere rispettate dal contribuente o dal fisco.

Negli anni successivi al 2000 i parametri sono stati sostituiti dagli studi di settore che dovrebbero essere delle formule più precise dei parametri per calcolare ciò che il fisco ritiene essere un “imponibile annuo tipo” più o meno corretto per ciascun settore; queste formule sono effettivamente più precise dei parametri ed infatti esse tengono conto anche delle ore di lavoro che ciascun contribuente esercita in un anno (applicando infatti queste regole il mio dichiarato risulta “quasi” corretto) ma naturalmente non tutte le variabili sono considerate; ad esempio non si tiene in alcun conto della distanza che ciascun lavoratore deve coprire per raggiungere il luogo di lavoro per cui risulta che il reddito imponibile di un lavoratore che presta la sua opera sotto casa non deve essere diverso da quello di un lavoratore che deve percorrere anche centinaia di chilometri ogni giorno per recarsi a lavorare (insomma non si tiene conto delle maggiori spese che qualcuno deve sostenere); e tante altre variabili come i periodi di malattia, e altre informazioni che incidono sicuramente sul reddito di ciascuno.

Per gli studi di settore è stato addirittura preparato un programma (Gerico) scaricabile da Internet che ho anche provato ad usare per verificare in anticipo se quanto io guadagno è coerente con le aspettative dello Stato e ho quasi sempre constatato che rientro nella fascia di redditi considerati accettabili; ora è ovvio che se il programma fissa una fascia di accettabilità vuol dire che per lo meno chi è rientrato in detta fascia possa essere “assolto”, magari dopo aver dimostrato in qualche modo i motivi per cui non si è riusciti a raggiungere il massimo; ma invece gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate considerano inaccettabili redditi che sono entro la fascia ma pretendono assolutamente che i redditi siano sempre superiori al valore massimo indicato dal programma; non vogliono sentire ragioni e accettano soltanto che il malcapitato adegui i suoi guadagni a quel valore massimo pagando multe ed interessi per degli introiti mai avuti.

E come se non bastasse su quegli introiti inesistenti il fisco pretende dalla tasca del malcapitato l’IVA non versata, mentre se effettivamente quegli introiti fossero stati fatti, l’IVA sarebbe stata versata dal datore di lavoro e il contribuente non l’avrebbe pagata in quanto se la sarebbe scaricata; insomma non solo lo Stato pretende di inventare del lavoro mai fatto, ma chiede di intascare su di essi un’IVA che se il lavoro fosse stato veramente fatto, non avrebbe mai incassato.

Ora io dico: se lo Stato ha inventato un modo per valutare attraverso dei calcoli i possibili guadagni medi dei lavoratori di ciascun settore e desidera utilizzare tale strumento per individuare dei soggetti che sembrano sospetti poiché le loro dichiarazioni sono sensibilmente inferiori alle loro cifre, non ho niente in contrario che si facciano delle verifiche per capire se i motivi addotti sono plausibili o se effettivamente si tratta di evasione, ma non si può certamente pretendere, bendandosi gli occhi, che o si guadagna quanto dice il programma Gerico, oppure ci si deve forzatamente adeguare.

Ed invece si ragiona proprio così, tanto che i commercialisti al momento della dichiarazione dei redditi, esaminano i risultati di Gerico, lo confrontano con il reddito EFFETTIVO del loro cliente e quando esso risulta inferiore al massimo indicato in quel maledetto programma consigliano di adeguarsi (esiste proprio un modo per farlo già previsto dalla procedura) in maniera da pagare di più di quanto effettivamente dovuto, ma “essere tranquilli di non avere più alcun controllo”.

Questo è un metodo che va molto bene per chi guadagna veramente molto ma molto di più di quanto previsto dal programma in quanto basta adeguarsi al programma per non essere più soggetti a controlli, ma colpisce fortemente chi invece per motivi diversi si trova ad aver guadagnato meno del “PREVISTO”. Il bello è poi che neanche dopo aver dichiarato per un certo anno, magari adeguandosi alle cifre di Gerico aggiungendo dei guadagni mai fatti soltanto per “non avere fastidi” si può stare tranquilli, perché spesso accade che in date successive alla dichiarazione fatta, le regole vengono cambiate per cui ciò che era coerente al momento della dichiarazione diventa improvvisamente non coerente e soggetto a controlli e ovviamente a ulteriori sanzioni.

Ricorderete che durante la “scarica” di provvedimenti fiscali fatti per recuperare soldi per le casse dello Stato, uno degli ultimi Governi ha organizzato un cosiddetto “inasprimento degli studi di settore” dal quale ha anche subito calcolato un ulteriore introito da prelevare ingiustamente dalle tasche dei lavoratori; ma può uno studio di settore essere inasprito? Uno studio può essere più o meno preciso, ma decidere di inasprirlo significa soltanto stabilire che ciò che fino a ieri era considerato un giusto guadagno viene innalzato al solo scopo di reperire più soldi.

E come minimo questo procurerà un aumento dell’inflazione perché i lavoratori autonomi il minimo che potranno fare per difendersi dalla “rapina” è di aumentare i loro prezzi al consumo.

Vivendo in questo clima non posso fare a meno di pensare a quando la camorra avvicina un negoziante e dopo aver “valutato a spanne” i suoi guadagni gli fissa una tangente mensile da pagare; naturalmente l’avverte garbatamente che se dovesse decidere di non pagare correrebbe dei rischi non trascurabili. E per finire se non foste ancora convinti vi riporto in questo BLOG un documento ORIGINALE (leggete il post "Il documento del Ministro Fantozzi") che alcuni anni addietro fu fatto pervenire ai lavorati autonomi e pertanto anche a me dall’allora Ministro Fantozzi; il documento è firmato di suo pugno e se letto attentamente mostra proprio una grande attinenza con il comportamento della mafia quando pretende un “PIZZO” e poi minaccia ritorsioni a chi non dovesse ubbidire. E allora siamo cittadini o sudditi?

PENSATE CHE UN GIORNO SI AGGIUSTERANNO QUESTE COSE? SI PUO' ANCORA INSISTERE NEL CHIEDERCI DI AVERE FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI O BISOGNA DIRE CHE VOGLIONO SOLO INVITARCI AD UN ATTO UFFICILE DI SOTTOMISSIONE?

1 commento:

Anonimo ha detto...

DiCCI come è finita sta causa.....