lunedì 21 luglio 2008

Quel maledetto cicalino

SI.

Sto parlando del cicalino installato sulla mia autovettura; è una Mercedes classe A ma non è la sola a disporre di questo aggeggio infernale.

Il cicalino è nato da tanti anni e spesso accoppiato con l’accensione di una spia luminosa era solito avvisare con dei sommessi BIP che una portiera non era perfettamente chiusa o che il carburante stava per esaurirsi o per altri avvisi utili.

In questi ultimi tempi è stato anche utilizzato per avvisare che non è stata allacciata una cintura di sicurezza, ma in questo caso il “maledetto cicalino” non è più discreto come in tutti gli altri casi: inizia sommessamente dopo aver superato i 20 km/ora e prosegue per pochi secondi così, poi aumenta la frequenza e diventa più insistente, infine aumenta di volume diventando insopportabile; e si ACQUIETA soltanto quando il guidatore e/o il passeggero anteriore non ha ubbidito ai suoi COMANDI.

Io percorro spessissimo dei brevissimi tratti di strada in città a bassissima velocità e con continue fermate per una serie di piccoli servizi giornalieri; ebbene sono costretto a SUBIRE continuamente il fastidiosissimo supplizio oppure a continuare ad inserire e disinserire la fibbia della cintura.

Osservo che ogni dispositivo meccanico ha una propria vita e tale vita dipende dalla frequenza d’uso del dispositivo stesso per cui sono anche convinto che il continuo inserimento e disinserimento delle fibbie prima o poi le guasterà, magari rendendole inefficaci al momento del bisogno .

La mie età supera i settanta, ho la patente da 55 anni ma ho cominciato a guidare (la Balilla spider) ben 65 anni fa; ho percorso milioni di chilometri con innumerevoli autovetture ed indosso le cinture di sicurezza IN CUI CREDO FERMAMENTE da anni ed anni.

Ma non posso sopportare di essere COMANDATO da un aggeggio infernale che mi costringe alcune volte a girare la chiave di accensione mentre sono in marcia per par far ripartire da capo il conto alla rovescia di quel maledetto cicalino.

Ma è possibile che individui maggiorenni e vaccinati debbano essere comandati a bacchetta da uno stupido DISPOSITIVO che in caso di inosservanza si prende anche l’arbitrio di infliggere loro una punizione sonora?

L’avviso sommesso (un solo bip) lo posso ammettere perché può servire ad evitare una dimenticanza, ma il disturbo indefinito fino a fare impazzire il guidatore è un arbitrio che non può essere tollerato.

Prima di scrivere questo documento ho cercato un pò su Internet sicuro di trovare qualcosa sull’argomento e mi sono imbattuto in un forum dove ho trovato un automobilista che proponeva di rendere obbligatorio questo tipo di supplizio dicendo:

Se il cicalino è fatto bene e continua a suonare all'infinito finchè non ti allacci la cintura voglio vedere chi si fa un viaggio con sto rompimento di scatole Poi certo ci sarebbe quello che pur di non mettersi la cintura va dall'elettrauto e si fa smontare il cicalino ma insomma penso sarebbe casi limitati.

Ma perché invece di proporre simili torture agli altri, quell’automobilista non si fa installare in proprio quell’aggeggio, magari facendolo dotare anche di un martello che come ultimo atto lo colpisca alla nuca per convincerlo ad indossare la cintura? E se pensa di ridurre così i morti (che sono solo 7000 all’anno) perché non propone di obbligare ogni fumatore ad indossare un cicalino che si mette a suonare all’infinito finché non spegne la sigaretta per ridurre i morti per il fumo che sono invece oltre 160.000 all’anno? Ma per loro basta avvisare con una piccolo scritta sul pacchetto: IL FUMO UCCIDE e allora analogamente basterebbe imporre nelle auto la scritta: SENZA CINTURE SI MUORE.

Io invece credo che sarò proprio uno di quelli che si farà disattivare il cicalino, perdendo completamente la sua utilità anche per le altre sue funzioni, ma liberandomi da questa limitazione di libertà che non posso accettare.

E’ certo che non acquisterò più una autovettura dotata di questo SUPPLIZIO a meno che non sia impostabile dall’utente la modalità di avviso che preferisce; le macchine sono oggetti nati per servirci e noi non dobbiamo invece diventare servitori delle macchine.

FATECI CASO.

LA VESSAZIONE PER GLI AUTOMOBILISTI E’ CONTINUA E SPESSO SONO PROPRIO GI AUTOMOBILISTI STESSI AD OCCUPARSENE.

LA LIBERTA’ SI RIDUCE SEMPRE DI PIU’; SEMPRE DI PIU’ CHI DECIDE PER NOI SONO DEGLI STUPIDI DISPOSITIVI O DEI COMPUTER PROGRAMMATI PER IMPORCI ASTRUSE REGOLE; FINIREMO PRESTO PER ESSERE DOMINATI DALLE MACCHINE

Le buste di plastica

Prima di tutto vi invito a visitare il sito che un mio caro amico mi ha segnalato e che io ho riportato qui sotto; scoprirete quanto è grave il problema della produzione delle “buste di plastica”.

http:
//www.poconorecord.com/apps/pbcs.dll/article?AID=/20080506/MULTIMEDIA02/8050501

Purtroppo sono pagine in lingua inglese, ma vi sono molte foto che parlano da sé, per cui anche chi non dovesse conoscere un pò di inglese, non farà fatica a rendersi conto della situazione.

La visione di quel documento mi ha fatto tornare alla mente sia il provvedimento di alcuni anni fa deciso dal nostro Governo per contrastare il problema, sia quelle che furono le mie considerazioni sull’argomento.

E quindi riporto qui di seguito provvedimento e considerazioni.

Il provvedimento fu quello di gravare ogni busta acquistata, di una TASSA di 100 lire; l’idea dei nostri scienziati-politici era che in quel modo si sarebbe ridotto il consumo di quel tipo di busta.

Era un’idea assolutamente errata ed infatti noi tutti sappiamo che nessuna riduzione di consumo c’è mai stato; infatti non sono mai state prodotte prodotte buste di carta in luogo delle buste di plastica, né nessuno è mai tornato ad usare la vecchia borsa per la spesa.

Intanto è chiaro che lo Stato non poteva raccogliere le 100 lire dai singoli acquirenti dei fruttivendoli o degli esercizi di vendita al pubblico; sarebbe stato impossibile, e allora c’è da pensare che avrà invece provveduto a prelevare quella tasse alla fonte e cioè dai produttori delle buste che poi saranno stati autorizzati a riprendersi le cifre dai grossisti che a loro volta la avrebbero addebitata ai dettaglianti che infine le avrebbero recuperate dall’utente finale.

Probabilmente ogni produttore di buste sarà stato obbligato a dichiarare il quantitativo di buste prodotte e in tal modo verserà le 100 lire per ognuna di esse allo Stato.

Mi chiedo allora su milioni di buste che una fabbrica produce quanto interessante sia diventato il produrre un certo quantitativo di buste “in nero” visto che per ciascuna di esse il produttore incassa dal grossista non solo il normale guadagno (probabilmente qualche lira) ma anche per ogni busta in più prodotta e non dichiarata ben 100 altre lire.

Se i produttori nel passato dichiarando il falso avrebbero soltanto sottratto un po’ di guadagno alla tassazione, ora invece c’è anche da guadagnare un “bonus” aggiuntivo di altre 100 lire a busta, per cui la voglia di imbrogliare sarà sicuramente aumentata moltissimo.

Dunque posso concludere che la decisione presa dai nostri politici, invece che spingere alla riduzione della produzione è risultato essere un “incentivo” all’aumento della produzione.

Ciò si è tradotto in AUMENTO DELLE BUSTE PRODOTTE e anche MAGGIORE SPINTA ALL’EVASIONE FISCALE.

Che ne dite? E’ un bel risultato, si o no?

Ma non sarebbe stato meglio obbligare i produttori a dimezzare la produzione di buste di plastica sostituendo il 50% di esse con buste di carta? Ma forse questo è troppo difficile da pensare per i nostri scienziati !!

ED ORA INVITO I LETTORI AD UN ESERCIZIO.

PER OGNI NUOVA REGOLA FISSATA DAI NOSTRI GOVERNANTI, PROVATE A PENSARE CHE COSA SAREBBE ACCADUTO SE SI FOSSE DECISO ESATTAMENTE IL CONTRARIO: SCOPRIRETE QUASI SEMPRE CHE SI SAREBBERO OTTENUTI RISULTATI MIGLIORI.

giovedì 17 luglio 2008

Possibili soluzioni per la giustizia?

Non sono un legale, nè un politico e nenche un magistrato, ma a me semplice cittadino di questo sventurato Paese, sembra che solo applicando un pò di logica, cosa che ritengo invece di possedere, si potrebbero trovare diverse soluzioni ai problemi della giustizia che essenzialmente sono due:


  • La estrema lentezza

  • La inadeguatezza delle pene        

Innanztutto, piuttosto che incrementare ancora la forza “magistratura” si dovrebbe perseguire fermamente l’obiettivo di ottimizzare le risorse esistenti, evitando gli sprechi di tempo e le attuali moltiplicazioni del lavoro.

Ho già evidenziato che moltissimo tempo viene sprecato dalla magistratura per le innumerevoli procedure di rinvio inutili. Non esiste udienza che non venga rinviata un buon numero di volte; tutto ciò è lavoro sprecato che invece potrebbe essere utilizzato più proficuamente per “decidere”.

Durante gli anni che passano nelle attese e per i rinvii capita spessissimo che i giudici vengano trasferiti ad altro incarico o promossi e spostati; in queste frequenti situazioni il giudice che subentra deve rileggere e ristudiarsi l’oggetto del contendere con conseguente spreco di tempo.

Dunque basterebbe limitare il numero dei rinvii, magari fissando un tetto massimo da non superare, per guadagnare del tempo prezioso da utilizzare più proficuamente; inoltre bisognerebbe evitare di continuare ad assegnare udienze a giudici che stanno per essere trasferiti o stanno per andare in pensione e che quindi mai riuscirebbero a completare prima del trasferimento la massa di lavoro che hanno da portare avanti; dovrebbe essere istituita una norma che soltanto quando un magistrato ha portato a termine tutto il lavoro che gli è stato assegnato, egli potrà essere promosso e/o spostato ad altro incarico.

Anche in questa maniera si recupererebbe tempo che invece è spesso sprecato a causa del nuovo studio delle questioni da parti dei giudici che subentrano.

Infine occorrerebbe promulgare una legge che eviti le duplicazioni inutili dei processi che spesso vengono, come ho citato in altri miei scritti, moltiplicati pur trattandosi di situazioni esattamente uguali; ad esempio nelle cause di lavoro dove di solito si tratta di decidere se un datore di lavoro ha bene o male applicata una norma, una volta giunti ad una sentenza essa dovrebbe essere immediatamente applicata a tutti i lavoratori di quell’azienda che si sono trovati nella stessa situazione; se proprio non si volesse a posteriori applicare la sentenza a tutti gli aventi diritto, almeno bisognerebbe precedentemente accorpare d’ufficio le cause identiche ed affidarle tutte ad uno stesso magistrato; non solo si guadagnerebbe tempo prezioso, ma si eviterebbe il verificarsi di sentenze spesso contrastanti a fronte di uno stesso problema; ed ancora si consentirebbe ai ricorrenti di unirsi con conseguente risparmio economico.

Insomma a me pare che, come in ogni azienda che si rispetti, l’ottimizzazione delle risorse è fondamentale e non vedo perché un’organizzazione come la magistratura non debba invece occuparsi di questo problema specie nel momento in cui ha difficoltà nel far fronte alla grossa mole di lavoro che deve portare avanti.

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C’è un altro aspetto importante per il quale noi cittadini siamo ormai abituati a dire che “la giustizia non esiste” ed è la non certezza della pena o comunque la incongruità delle pene; il cittadino non tollera di vedere libero dopo poco tempo dal reato un assassino, né accetta la esiguità di certe pene.

Ci sono mille attenuanti e regole che in un modo o nell’altro finiscono per ridurre al minimo ogni pena quando non la nullificano completamente.

Dunque per applicare pene giuste a mio avviso occorrerebbe sempre e soltanto valutare il danno economico prodotto dal delinquente dopo di che egli dovrebbe essere costretto a restituire alla società o al privato verso il quale ha diretto la sua opera distruttrice la somma calcolata.

Ad esempio chi brucia un autobus dovrebbe essere condannato a ricomprarlo, chi ruba, una volta scoperto, dovrebbe essere condannato a restituire tutta la refurtiva maggiorata di una multa e anche chi uccide dovrà restituire alla sua famiglia il “valore” dell’individuo soppresso (ricordo che anche le assicurazioni valutano il valore di una persona deceduta per fissare il rimborso da applicare).

Calcolata la cifra del danno per ciascun reato e aggiuntovi una maggiorazione percentuale a titolo di multa il delinquente dovrà versare all’avente diritto detta cifra e, se non fosse in grado di farlo, prestare la sua opera in lavori socialmente utili o comunque lavorando per lui per il tempo necessario per restituire il dovuto (ovviamente la sua giornata di lavoro dovrebbe essere valutata secondo il tipo di lavoro da lui effettuato e maggiorata delle spese necessarie al suo mantenimento).

Questa sarebbe GIUSTIZIA vera, perché la pena sarebbe sempre veramente commisurata al danno provocato; chi imbratta un muro o graffia volutamente un’auto o peggio la incendia, deve sapere che è come se quel danno lo facesse a se stesso, perché se scoperto dovrà pagarlo; le carceri sarebbero meno affollate e si trasformerebbero in luoghi dove lavorare per restituire; non costerebbero quasi più niente in quanto gli stessi occupanti sarebbero tenuti con il proprio lavoro a rimborsare lo Stato delle spese sostenute per mantenerlo.

NON PENSO DI ESSERE PAZZO; A ME SEMBRANO PAZZI QUELLI CHE SOSTENGONO CHE CHI DELINQUE NON SOLO NON DEVE RIMBORSARE NESSUNO DEL DANNO ARRECATO, MA DEVE ESSERE ANCHE OSPITATO GRATUITAMENTE DALLO STATO (SIA PURE IN CARCERE) E SPESSO ANCHE CON DIRITTI SUPERIORI A TANTI POVERI ONESTI CITTADINI SENZA LAVORO.

Il documento del Ministro Fantozzi

Nel 1995 essendo io titolare di partita IVA mi fu recapitata una missiva del Ministro Fantozzi che ora non riesco a ritrovare ma dalla quale mi ero annotato alcuni paragrafi più salienti. Li riporto qui, seguiti da quelle che furono le mie interpretazioni:

GENTILE CONTRIBUENTE, LA LEGGE N. 656 DEL 1994 HA DATO LA POSSIBILITA' DI DEFINIRE I REDDITI DI IMPRESA E DI LAVORO AUTONOMO PER GLI ANNI DAL 1987 AL 1993 E L'IVA PER GLI ANNI DAL 1988 AL 1993 VERSANDO PER CIASCUNA ANNUALITA' E PER CIASCUNA IMPOSTA, LE SOMME DETERMINATE DALL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA A SEGUITO DI UNA PARTICOLARE PROCEDURA DI ACCERTAMENTO.

Io ho interpretato questo periodo come segue: Mio sventurato suddito ti comunichiamo che per colmare una parte degli enormi ammanchi creatisi a causa della nostra inettitudine, abbiamo deciso di rastrellare un congruo numero di miliardi con una tecnica nuova, anche se apparentemente simile a quella praticata dal signor AMATO con il prelievo forzato sui conti correnti di alcuni anni fa. Ti facciamo notare che come allora, anche in questo caso si è curato di rendere il provvedimento il più equo possibile, infatti dovrai ammettere che esso è "ugualmente iniquo" per tutti.

Un'altra frase diceva testualmente:

ADERENDO ALLE PROPOSTE DI CONCORDATO (PER TUTTE LE ANNUALITA' INTERESSATE O ANCHE SOLO PER ALCUNE DI ESSE) IL CONTRIBUENTE IMPEDISCE OGNI ULTERIORE ACCERTAMENTO RELATIVO AI REDDITI DEFINITI. INOLTRE....

Anche in questo caso io ho letto la frase come se avesse detto: Chi non accetta la nostra proposta sappia che sarà sottoposto ad un accurato controllo a seguito del quale, tenuto conto della giungla contributiva che abbiamo creato negli anni, sicuramente sarà trovato inadempiente in una qualche misura. Ti assicuriamo pertanto che qualora non accetterai di ottemperare a questa nostra richiesta, sicuramente finirai per doverci versare una cifra molto maggiore.

Più avanti il documento diceva:

SE DECIDERA' DI COGLIERE QUESTA OPPORTUNITA', POTRA' EFFETTUARE IL PAGAMENTO DEGLI IMPORTI CONTENUTI NELLE PROPOSTE SEGUENDO LE MODALITA' INDICATE NELLA "GUIDA".

Ed io leggevo:

Se deciderai di versare quanto da noi stabilito potrai passare da uno dei nostri soliti esattori del "PIZZO". Altrimenti non risponderemo più nè della sicurezza dei tuoi beni nè dell'incolumità tua e dei tuoi familiari.

Per finire:

DA QUEL MOMENTO SCATTERANNO PER LEI I BENEFICI PREVISTI PER CHI ADERISCE AL CONCORDATO. CON I MIGLIORI SALUTI. FANTOZZI.

Cioè:

Da quel momento quindi rimarrai sotto la nostra protezione fino a quando non decideremo di applicare altre misure simili. Ha, Ha, Ha. Fantozzi.

Leggendo poi il resto della documentazione acclusa si viene a sapere che: "L'AMMISTRAZIONE FINANZIARIA HA PREDISPOSTO LE PROPOSTE AVVALENDOSI DI UNA METODOLOGIA MATEMATICO-STATISTICA, FONDATA SULLE ELABORAZIONI DELL'ANAGRAFE TRIBUTARIA. TALE METODOLOGIA TIENE CONTO, PER CIASCUNA CATEGORIA ECONOMICA, DELLA DISTRIBUZIONE DEI CONTRIBUENTI PER FASCE DI RICAVI O DI COMPENSI E DI REDDITIVITA', RISULTANTI DALLE DICHIARAZIONI."

In poche parole si capisce bene che, una volta fissata la cifra che si desiderava realizzare, è stato chiesto agli analisti dell'Anagrafe Tributaria di effettuare delle elaborazioni sui dati delle dichiarazioni dei redditi di tutte le imprese a partire dal 1987 utilizzando una formula capace di produrre un gettito complessivo pari al bisogno indicato dal Ministro.

E' stato facile, no? In effetti si è assunto che tutti i contribuenti sono evasori fiscali e anche che lo sono tutti in uguale misura o meglio in una misura proporzionale in un qualche modo alle dichiarazioni da essi stessi fatte; qualche GRANDE ESPERTO ha allora tirato fuori una formula, l'ha fatta provare sui dati disponibili, probabilmente dopo la prima prova l'ha corretta per fare i modo che i risultati del gettito fossero proprio quelli voluti e alla fine ha fatto produrre i tabulati da inviare, con i saluti di Fantozzi, ai malcapitati.

Nessuno ha pensato che tra coloro che avrebbero ricevuto la lettera vi poteva essere almeno qualcuno che aveva onestamente dichiarato tutti i suoi redditi; o se qualcuno lo ha pensato, comunque nessuno si è minimamente preoccupato di non offendere questi cittadini.

Io so che un piccolo lavoratore autonomo poteva decidere di utilizzare per la contabilità IVA un regime forfettario o uno analitico.

Come è allora possibile che dopo che un contribuente ha deciso dim optare per il regime analitico, dichiarando ogni suo guadagno e versando l'IVA relativa mensilmente, si vede attribuito un reddito diverso calcolato e forfettizzato a mezzo di UN METODO MATEMATICO-STATISTICO e si pretende da lui il versamento di IVA mai percepita?

Come è possibile che questo calcolo matematico-statistico venga inventato nel 1994 e poi utilizzato per determinare i redditi dell'ultimo anno nonchè di ben 7 anni precedenti?

Ma visto che paghiamo le tasse a mezzo di una autotassazione che non può essere naturalmente fatta se non conoscendo prima le regole da applicare, non riesco a capire come è possibile che prima paghiamo le tasse rispettando le regole che ci hanno comunicato e 7 anni dopo inventano una formula diversa, non ce la comunicano nemmeno, ci ricalcolano tutti i redditi degli anni passati con la formula a noi sconosciuta, ci danno del LADRO e per concludere pretendono di farci pagare anche multe ed interessi per non aver versato quelle cifre che con le regole allora vigenti nopn avremmo mai potuto calcolare nella nostra autotassazione; e pensate che quegli interessi venivano richiesti perfino a coloro che erano creditori di imposta e che quindi avevano spesso in mano dello Stato molto di più di quanto quest'ultimo aveva deciso improvvisamente di pretendere.

Queste sono cose assurde, pensate da menti che si considerano libere di colpire a proprio piacimento, sono cose che fanno andare su tutte le furie gi onesti cittadini, sono cose che fanno passare ogni desiderio di appartenere a questa Nazione, sono cose che spingeranno prima o poi anche i più onesti a farsi giustizia da soli evadendo quando è possibile, sono infine comportamenti per niente dissimili da quelli dei Mafiosi e dei Camorristi.

MA C'E' QUALCUNO CHE DOPO LETTO QUESTO DOCUMENTO PENSA ANCORA CHE SIAMO IN UN PAESE CIVILE?

La giustizia non esiste (dimostrazione 3)


  • Che il fisco adotti tutta una serie di espedienti per individuare eventuali evasori “transeat”.

  • Che a fronte di un sospetto, il povero cittadino sia sottoposto ad un controllo approfondito “passi pure”.

  • Che il sospettato sia obbligato a dimostrare tutto il suo comportamento “può essere ancora sopportato”.

Ma alla fine di tutto ciò:

  • Che lo Stato pretenda di tassare i malcapitati soltanto in base a delle supposizioni suffragate da astrusi e grossolani calcoli teorici

  • Che il povero suddito sospettato non abbia nemmeno il diritto di difendersi a meno di non ricorrere a sue spese ad una Commissione Tributaria

  • Che se però desidera difendersi (ovviamente anche essendo nel giusto) egli deve prima versare comunque un terzo dell’assurda richiesta e rimanere poi in attesa che in un certo numero di anni qualcuno deciderà di esaminare il suo caso E’ VERAMENTE TROPPO e dimostra soltanto che evidentemente lo Stato non ha in nessuna considerazione i cittadini e li tratta come dei SUDDITI DA SCHIAVIZZARE E DA SFRUTTARE.

Dopo quello che mi è capitato e che esporrò successivamente, non posso fare a meno di ricordare quanto diceva un mio vecchio amico già da anni riferendosi al fisco italiano: esiste la NCO (Nuova Camorra Organizzata) ma anche la VCL (Vecchia Camorra Legalizzata); infatti a giudicare dalle istruzioni impartite agli uffici periferici da chi gestisce il fisco, è difficile scacciare l’idea che costoro hanno preso lezioni di comportamento appunto dalle organizzazioni mafiose; in più però le loro regole sono “legalizzate” e quindi a differenza delle organizzazioni camorristiche, essi non possono essere perseguiti in alcun modo.

Sento spesso Capi di Stato ed esponenti del Governo insistere sul fatto che i cittadini debbano avere fiducia nelle Istituzioni, ma mi domando in virtù di quale comportamento giusto noi poveri sudditi invece possiamo veramente aderire a questi inviti.

La prova ultima di come siamo bistrattati e di come quanto ho già affermato corrisponde a verità, la potrete avere semplicemente apprendendo quello che è capitato a me e che può essere considerato un esempio emblematico del comportamento prepotente di chi è investito dell’autorità di controllare il comportamento fiscale di un qualunque individuo di questo sventurato Paese.

Sono un Dirigente di Banca in pensione, ero sempre stato un esperto di informatica del suo Centro Elettronico fino a diventare il “responsabile dello sviluppo hardware e software” della banca; nel 1991 avevo optato per un pensionamento anticipato soltanto per poter in cambio offrire un posto di lavoro in Banca ad un mio figlio. Per mia fortuna e data la mia carica, ero e sono titolare di un buon assegno di pensione con il quale posso vivere più che decorosamente; ma la mia passione per l’informatica che non mi ha mai abbandonato (ad oggi sono 48 anni che vivo nell’ambiente) mi spinse fin dal 1991 ad aprire una partita IVA per effettuare una piccola attività di consulenza ad un’azienda di Telese Terme (BN) di un mio vecchio amico ed ex collega.

La mia scelta era stata spinta non da motivi economici ma più che altro:


  • per poter continuare a studiare la mia materia evitando di diventare obsoleto entro breve tempo

  • per tenere in esercizio il mio cervello

  • per aiutare un vecchio amico e la sua Azienda a progredire

  • per non sentirmi inutile

  • per continuare a raccogliere qualche soddisfazione ancora, oltre le tante avute finanche in ambiente internazionale nel passato

Mi facevo pagare poco e andavo a Telese soltanto quattro volte al mese e solo per qualche necessità eccezionale dell’azienda vi dedicavo qualche ora in più del concordato. Dal 1991 a oggi ho lavorato così, su ogni fattura ho fatto guadagnare allo Stato l’IVA che l’azienda mi liquidava; su questi piccoli guadagni ho versata tutta l’IRPEF dovuta che come si può immaginare mi è stata tassata ad una aliquota piuttosto alta poichè gli introiti dell’attività autonoma venivano aggiunti a quelli preponderanti della mia pensione; insomma nel mio piccolo ho contribuito anch’io agli introiti dell’erario in maniera più che proporzionale ai miei guadagni.

Avevo molte spese anche perché il luogo di lavoro era ad oltre 100 Km. di distanza dalla mia residenza (vivo a Gaeta –LT-), ma a me bastava che i guadagni coprissero le spese e le tasse da versare in quanto come ho detto prima gli introiti dell’attività erano motivati da ragioni tutt’altro che economiche.

La cosa è andata avanti così fino a tutto l’anno 2006 e quindi per ben 15 anni ho contribuito fortemente allo sviluppo dell’Azienda che realizza software per gli enti locali e che anche con il mio aiuto ha raggiunto un livello di qualità di primo livello nell’ambito nazionale.

Ma alla fine del 2006 mi è pervenuta una “missiva” dell’Agenzia delle Entrate che mi invitava a recarmi negli Uffici di Formia per giustificare il motivo dei miei guadagni dichiarati per l’anno 2000 che a giudizio del fisco non erano corretti.

In poche parole il mio commercialista mi spiegò che la lettera (prodotta da un computer dell’Agenzia delle Entrate centrale) aveva applicato i cosiddetti parametri vigenti per l’anno 2000 ed aveva calcolato un guadagno teorico che per la mia attività doveva essere di 103 milioni di lire circa e non 26 milioni circa come da me dichiarato e che pertanto il mio imponibile era stato di ben 77 milioni di lire inferiore a quello da loro fissato con i parametri.

Seguiva tutto un calcolo su quanto io avrei dovuto versare allo Stato per questa differenza che tenendo conto di more, interessi e varie si traduceva in un mio debito di circa 55 milioni di lire per il solo anno 2000. Ovviamente la cosa era così assurda che inizialmente non mi spaventò per nulla perchè da una mia analisi capii che i parametri fissavano un guadagno teorico di un informatico del mio livello ma che naturalmente avesse lavorato per un anno intero a tempo pieno e verificai anche che poiché un lavoratore a tempo pieno lavora per 1.920 ore in un anno, io che ne avevo lavorate (documenti alla mano) soltanto 408 quindi in part-time al 21%, dichiarando 26 milioni di lire ero oltre tutto anche coerente con i parametri adottati dal fisco.

Ma poi quello che più contava era che in effetti io avevo fatturato fino all’ultima mia ora di lavoro, avevo versato sia IVA che IRPEF su tutti gli effettivi guadagni e quindi NESSUNO avrebbe mai potuto pretendere di darmi dell’evasore e chiedermi altre cifre oltre quelle già versate. Il commercialista provò a spiegarmi che quelli dell’Agenzia delle Entrate però qualcosa avrebbero comunque voluto “grattare” ma io fui inflessibile, non tanto per non pagare, ma perché pagando avrei indirettamente ammesso di essere un evasore, cosa assolutamente non vera.

Preparai un documento dettagliato, nel quale chiarii che il mio era un lavoro part-time, che il mio tenore di vita era funzione esclusivamente del mio assegno di pensione e che comunque ero disposto ad accettare qualunque controllo contabile o di qualunque genere che potesse dimostrare il contrario. Non potetti partecipare all’incontro al quale andò soltanto il mio commercialista in quanto io ero impegnato in quel giorno a Roma per una visita medica fissata tanti mesi prima; al mio ritorno il commercialista mi consegnò un verbale del contraddittorio nel quale l’impiegato interessato diceva che sentite e lette le mie ragioni proponeva di ridurre il maggior imponibile calcolato da 77 milioni a 58 milioni di lire e che poiché il mio rappresentante come a me richiesto, si era rifiutato di accettare l’offerta, mi sarebbe stato fatto un accertamento per l’intera cifra (quindi 77 milioni di lire).

A tutt’oggi sto aspettando questa richiesta ufficiale (il così detto accertamento) alla quale dovrò fare opposizione e l’unico modo per farlo sarà di ricorrere alla Commissione Tributaria di Latina, ma la legge prevede che affinché un cittadino possa far valere le sue ragioni deve pagare, infatti deve prima versare il 33% della cifra pretesa dallo Stato (nel mio caso 18 milioni di lire) cifra che se fra un certo numero di anni mi daranno ragione, mi sarà restituita. In più mi dicono che in ogni caso non avrò mai diritto nè al rimborso delle spese sostenute per difendermi, né tantomeno ad alcun indennizzo per i danni morali e reali ricevuti.

Intanto ho immediatamente chiusa la partita IVA, non ho voglia di avere più a che fare con simili masnadieri, ed osservo che se io l’ho potuto fare visto che posso vivere senza problemi con la mia pensione, qualcun altro invece sarebbe costretto a continuare ad essere perseguitato, non potendo fare a meno di lavorare per vivere.

Vorrei REGALARE il mio lavoro al mio amico di Telese e alla sua Azienda, ma non ho la possibilità di farlo, sia perché detta Azienda ha paura di accettare i miei regali, sia perché se lo Stato lo scoprisse, direbbe che non è vero e pretenderebbe da me delle tasse assurde su guadagni mai realizzati.

Osservo poi che quando i media parlano di enormi cifre di evasione fiscale, è il caso di ridimensionare abbondantemente dette cifre, perché è certo che le cifre dell’evasione vengono calcolate con l’utilizzo di parametri che nulla hanno a che vedere con la realtà; basti pensare alla cifra che hanno chiesto a me per il 2000 per rendersene conto.

Intanto io sto diventando un esperto delle regoli fiscali, e contino a scoprire le mille angherie a cui i contribuenti sono sottoposti; le regole sono sempre più assurde, la giustizia ha sempre due facce che sono assolutamente diverse e opposte a seconda che le regole debbano essere rispettate dal contribuente o dal fisco.

Negli anni successivi al 2000 i parametri sono stati sostituiti dagli studi di settore che dovrebbero essere delle formule più precise dei parametri per calcolare ciò che il fisco ritiene essere un “imponibile annuo tipo” più o meno corretto per ciascun settore; queste formule sono effettivamente più precise dei parametri ed infatti esse tengono conto anche delle ore di lavoro che ciascun contribuente esercita in un anno (applicando infatti queste regole il mio dichiarato risulta “quasi” corretto) ma naturalmente non tutte le variabili sono considerate; ad esempio non si tiene in alcun conto della distanza che ciascun lavoratore deve coprire per raggiungere il luogo di lavoro per cui risulta che il reddito imponibile di un lavoratore che presta la sua opera sotto casa non deve essere diverso da quello di un lavoratore che deve percorrere anche centinaia di chilometri ogni giorno per recarsi a lavorare (insomma non si tiene conto delle maggiori spese che qualcuno deve sostenere); e tante altre variabili come i periodi di malattia, e altre informazioni che incidono sicuramente sul reddito di ciascuno.

Per gli studi di settore è stato addirittura preparato un programma (Gerico) scaricabile da Internet che ho anche provato ad usare per verificare in anticipo se quanto io guadagno è coerente con le aspettative dello Stato e ho quasi sempre constatato che rientro nella fascia di redditi considerati accettabili; ora è ovvio che se il programma fissa una fascia di accettabilità vuol dire che per lo meno chi è rientrato in detta fascia possa essere “assolto”, magari dopo aver dimostrato in qualche modo i motivi per cui non si è riusciti a raggiungere il massimo; ma invece gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate considerano inaccettabili redditi che sono entro la fascia ma pretendono assolutamente che i redditi siano sempre superiori al valore massimo indicato dal programma; non vogliono sentire ragioni e accettano soltanto che il malcapitato adegui i suoi guadagni a quel valore massimo pagando multe ed interessi per degli introiti mai avuti.

E come se non bastasse su quegli introiti inesistenti il fisco pretende dalla tasca del malcapitato l’IVA non versata, mentre se effettivamente quegli introiti fossero stati fatti, l’IVA sarebbe stata versata dal datore di lavoro e il contribuente non l’avrebbe pagata in quanto se la sarebbe scaricata; insomma non solo lo Stato pretende di inventare del lavoro mai fatto, ma chiede di intascare su di essi un’IVA che se il lavoro fosse stato veramente fatto, non avrebbe mai incassato.

Ora io dico: se lo Stato ha inventato un modo per valutare attraverso dei calcoli i possibili guadagni medi dei lavoratori di ciascun settore e desidera utilizzare tale strumento per individuare dei soggetti che sembrano sospetti poiché le loro dichiarazioni sono sensibilmente inferiori alle loro cifre, non ho niente in contrario che si facciano delle verifiche per capire se i motivi addotti sono plausibili o se effettivamente si tratta di evasione, ma non si può certamente pretendere, bendandosi gli occhi, che o si guadagna quanto dice il programma Gerico, oppure ci si deve forzatamente adeguare.

Ed invece si ragiona proprio così, tanto che i commercialisti al momento della dichiarazione dei redditi, esaminano i risultati di Gerico, lo confrontano con il reddito EFFETTIVO del loro cliente e quando esso risulta inferiore al massimo indicato in quel maledetto programma consigliano di adeguarsi (esiste proprio un modo per farlo già previsto dalla procedura) in maniera da pagare di più di quanto effettivamente dovuto, ma “essere tranquilli di non avere più alcun controllo”.

Questo è un metodo che va molto bene per chi guadagna veramente molto ma molto di più di quanto previsto dal programma in quanto basta adeguarsi al programma per non essere più soggetti a controlli, ma colpisce fortemente chi invece per motivi diversi si trova ad aver guadagnato meno del “PREVISTO”. Il bello è poi che neanche dopo aver dichiarato per un certo anno, magari adeguandosi alle cifre di Gerico aggiungendo dei guadagni mai fatti soltanto per “non avere fastidi” si può stare tranquilli, perché spesso accade che in date successive alla dichiarazione fatta, le regole vengono cambiate per cui ciò che era coerente al momento della dichiarazione diventa improvvisamente non coerente e soggetto a controlli e ovviamente a ulteriori sanzioni.

Ricorderete che durante la “scarica” di provvedimenti fiscali fatti per recuperare soldi per le casse dello Stato, uno degli ultimi Governi ha organizzato un cosiddetto “inasprimento degli studi di settore” dal quale ha anche subito calcolato un ulteriore introito da prelevare ingiustamente dalle tasche dei lavoratori; ma può uno studio di settore essere inasprito? Uno studio può essere più o meno preciso, ma decidere di inasprirlo significa soltanto stabilire che ciò che fino a ieri era considerato un giusto guadagno viene innalzato al solo scopo di reperire più soldi.

E come minimo questo procurerà un aumento dell’inflazione perché i lavoratori autonomi il minimo che potranno fare per difendersi dalla “rapina” è di aumentare i loro prezzi al consumo.

Vivendo in questo clima non posso fare a meno di pensare a quando la camorra avvicina un negoziante e dopo aver “valutato a spanne” i suoi guadagni gli fissa una tangente mensile da pagare; naturalmente l’avverte garbatamente che se dovesse decidere di non pagare correrebbe dei rischi non trascurabili. E per finire se non foste ancora convinti vi riporto in questo BLOG un documento ORIGINALE (leggete il post "Il documento del Ministro Fantozzi") che alcuni anni addietro fu fatto pervenire ai lavorati autonomi e pertanto anche a me dall’allora Ministro Fantozzi; il documento è firmato di suo pugno e se letto attentamente mostra proprio una grande attinenza con il comportamento della mafia quando pretende un “PIZZO” e poi minaccia ritorsioni a chi non dovesse ubbidire. E allora siamo cittadini o sudditi?

PENSATE CHE UN GIORNO SI AGGIUSTERANNO QUESTE COSE? SI PUO' ANCORA INSISTERE NEL CHIEDERCI DI AVERE FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI O BISOGNA DIRE CHE VOGLIONO SOLO INVITARCI AD UN ATTO UFFICILE DI SOTTOMISSIONE?

La giustizia non esiste (dimostrazione 2)

Nel 1993 un cittadino acquista un appartamento di categoria A2 e classe 2, è la sua abitazione principale e il notaio profumatamente retribuito per assicurargli la certezza dell’acquisto, redige un regolare atto nel quale sono riportate per averlo anche verificato con un’apposita visura catastale che si tratta appunto di un appartamento di categoria A2 classe 2 con reddito catastale di Lire 2.800.000; il cittadino versa diligentemente le tasse per l’acquisto (in misura ridotta come prevede la legge trattandosi di prima casa) e si ritiene perfettamente in regola; successivamente anno dopo anno versa regolarmente l’ICI calcolandola secondo le regole e secondo l’aliquota fissata dal comune.

Agli inizi del 2006 (quindi dopo 13 anni dall’acquisto) il cittadino riceve un accertamento dell’ufficio ICI che gli richiede per il solo anno 2000 di versare oltre 2000 euro perché i versamenti effettuati per quell’anno sono stati incorretti.

Indagando sull’accaduto il cittadino scopre che il motivo della discordanza deriva dal fatto che al catasto l’appartamento risulta essere di categoria A10 classe 4 e non A2 classe 2; da una visura storica appare infatti che nel 1999 (sei anni dopo l’acquisto) il catasto ha cambiato la destinazione dell’appartamento a causa di una richiesta fatta nel 1988 (11 anni prima) dal precedente proprietario che l’aveva taciuta all’acquirente.

Il cambiamento è fatto dunque nel 1999 ma con decorrenza retrodatata al 1988 per cui il cittadino improvvisamente si ritrova un ufficio in luogo di una prima casa e diventa improvvisamente colpevole non solo di non aver versato l’ICI secondo le regole degli uffici, ma anche di aver usufruito senza diritto delle agevolazioni della prima casa avendo invece acquistato un ufficio.

Immediatamente il povero cittadino dopo aver scoperta la cosa, utilizzando l’apposito modulo per l’autotutela, diligentemente (come prevede la legge entro 60 giorni dalla notifica) informa sia l’uffcio ICI che il catasto di quanto è accaduto precisando che il cambio di classamento era stato fatto su un appartamento per il quale al momento della modifica, chi l’aveva richiesta non aveva più alcun diritto di ottenerla essendo non più proprietario da ben 6 anni, precisando inoltre che la cosa era stata fatta a completa insaputa del proprietario attuale al quale nessuna notifica era stata inviata.

Nessuno risponde al cittadino e poiché la legge non prevede che l’autotutela interrompa i termini, l’assenza di risposta costringe lo sventurato cittadino, ricorrendo all’aiuto di un bravo fiscalista, a produrre due ricorsi in bollo e ad inviarli alla Commissione Tributaria affinché un qualche giudice possa decidere sul da farsi.

Intanto il cittadino, che aveva firmato un compromesso per l’acquisto di una nuova casa da adibire ad abitazione principale ha la necessità di vendere prima l’appartamento in oggetto e si trova in grandi difficoltà non potendo vendere un ufficio, visto che è in atto un contenzioso che dovrebbe riportare l’appartamento al suo classamento originario.

Si prevede che un giudizio della commissione tributaria potrà aversi in un tempo non inferiore ai 5 anni per cui al cittadino non rimane altro che pagare, oltre al commercialista, anche un geometra per chiedere un nuovo cambio di destinazione e riportare rapidamente l’appartamento ad essere un A2.

Questa è quindi la giustizia: il Catasto può tranquillamente inserire una variazione dopo 11 anni creando una gran serie di problemi al cittadino; può poi evitare (anche se tenuto per legge) di informarlo sul cambiamento effettuato; l’ufficio ICI e il Catasto possono non rispondere in tempo al cittadino e costringerlo a chiedere aiuto alla giustizia; la giustizia a sua volta verrà, se andrà bene, fra più di 5 anni; infine se anche il Catasto sarà condannato nessuno pagherà per l’errore, mentre il povero ignaro cittadino, se l’ufficio ICI non avrà compassione, dovrà pagare le differenze ICI dal 2000 al 2005 (oltre 10.000 euro) e dovrà sperare di non essere per lo stesso periodo preso a bersaglio dall’agenzia delle entrate che potrebbe pretendere a sua volta l’adeguamento dell’IRPEF con le relative multe per lo stesso periodo; l’unica soddisfazione sarebbe quella di non poter essere colpito dal fisco anche per aver usufruito delle riduzioni delle tasse sull’acquisto di una prima casa poichè l’acquisto è del 1993, e quindi in data per la quale esiste la prescrizione delle imposte non pagate.

Vi pare che la giustizia sia uguale per tutti? Sicuramente no, perché le regole esistono e sono ferree soltanto per i cittadini onesti, mentre gli uffici pubblici, quelli mantenuti proprio dai soldi dei cittadini onesti, nulla hanno da temere e sono e saranno sempre liberi di agire come vogliono senza alcun rischio né di pagare multe, né di perdere il posto.

QUANDO POTREMO LEGGERE SU UN GIORNALE O SENTIRE ALLA TV CHE UN'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA E PER ESSA QUALCHE SUO DIRIGENTE E' STATA CONDANNATO A QUALCHE PENA PER NON AVER RISPETTATO LE REGOLE? QUANDO POTREMO VEDERE CHE UN IMPIEGATO NEGLIGENTE PERDE IL POSTO PER IL QUALE E' PAGATO PROFUMATAMENTE? FINCHE' NON SUCCEDERA' QUESTO, NON POTREMO CERTAMENTE DIRE DI VIVERE IN UNA SOCIETA' ORGANIZZATA, MA POSSIAMO SOLO CONSIDERARCI DEGLI SCHIAVI O QUANTO MENO DEI SUDDITI COSTRETTI SOLTANTO A SERVIRE !!

La giustizia non è malata: è morta!

Da tempo da tutti i media si sente parlare di giustizia malata, ma è da tempo che io uso dire che qui in Italia “la giustizia non esiste”.

E poco forse dire che non esiste, forse si potrebbe dire che "l'ingiustizia e uguale per tutti”, o meglio ancora che “l’ingiustizia e uguale per tutti coloro che sono onesti”. Infatti è abbastanza comune che chi è disonesto ha tutto da guadagnare proprio per l’esistenza del sistema giustizia.

La giustizia non è malata, la giustizia è morta perché far valere la giustizia richiede così tanto tempo che la giustizia non viene mai fatta. Non riesco a dimenticare, che in occasione di una mia vertenza con una grossa azienda (mio ex datore di lavoro), ho dovuto attendere oltre cinque anni e alla fine ho avuto torto con una sentenza che ha asserito fatti inesistenti.

Non ho fatto ricorso in appello, perché stanco di continuare a pensare al mio problema; la giustizia mi ha quindi abbandonato dando ragione a chi aveva torto.

Durante questa mia vicenda la causa è stata rimandata decine di volte e sono cambiati ben cinque giudici. Ho calcolato che il tempo perduto della giustizia soltanto per eseguire i pochi adempimenti necessari a ciascun rimando, sono state consumate ore ed ore inutilmente, che forse sarebbero bastate tranquillamente a far decidere sull'argomento; va aggiunto anche che i giudici che si sono succeduti durante il lungo periodo (a causa di trasferimenti, promozioni e anche decessi ) ha fatto perdere altro tempo prezioso, in quanto ciascuno nuovo giudice ha dovuto presumibilmente rileggere e ristudiare la causa; tutto tempo che si sarebbe potuto utilizzare per produrre una sentenza e non per girare a vuoto; e questo è ancor più grave se si pensa che mentre la magistratura continua a dire di essere sottodimensionata per il personale, essa stessa continua a sciupare il proprio tempo non sapendo ben gestire l'utilizzo delle scarse risorse.

Ricordo che il mio avvocato, quando gli chiedevo quanto altro tempo avrei dovuto attendere, mi diceva di avere pazienza e di pensare che c'erano dei casi ben più gravi del mio che attendevano di essere esaminati invitandomi dunque a considerare giusto quello che accadeva, ma io non potevo fare a meno di dirgli che non esistono due giustizia: una per le cose gravi ed una per quelle meno gravi e non si può trascurare l'una in favore dell'altra. E’ sintomatico che gli stessi avvocati hanno perso di vista quello che significa “giustizia”. D'ALTRA PARTE IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA "GIUSTIZIA" E' SCONOSCIUTO ADDIRITTURA AL GOVERNO CHE DA QUALCHE GIORNO SEMBRA ESSERE INTENZIONATO A SOSPENDERE IL DIRITTO ALLA DIFESA DEI CITTADINI A MENO CHE IL TORTO SUBITO NON PREVEDA UNA PENA MAGGIORE DI 10 ANNI. Ma allora la giustizia non solo è morta, ma è anche sotterrata !!!

Un'altra prova che la giustizia spreca le proprie risorse (e anche per questo ho un’esperienza personale) dipende dal fatto che esistono regole sbagliate per le quali la magistratura è costretta a ripetere più volte l’esame di una stessa causa per giungere e prendere più volte la stessa decisione; farò proprio l'esempio del mio caso senza citare naturalmente i nomi dei contendenti.

La vertenza riguarda l'erronea interpretazione di una regola fissata nel contratto nazionale di lavoro da parte di una azienda nei confronti dei dipendenti in pensione; esattamente per lo stesso motivo sono state avviate una decina si uguali vertenze da parte di diversi gruppi di pensionati ingiustamente trattati, le vertenze sono stati affidate ovviamente ai giudici diversi; a distanza di anni dopo infiniti rimandi e anche qui continue sostituzioni dei giudici, si sono avute delle sentenze che pur essendo relative allo stesso identico problema, hanno avuto risultati diversi: alcuni sono stati favorevoli ai pensionati, altri sono state favorevoli all'azienda.

Ne è risultato una serie di ricorsi in appello per i quali sono stati interessati altri magistrati e per i quali sono stati spesi altri anni di lavoro e di studio ed anche in questo caso i risultano sono stati discordanti; le cause sono tuttora in corso, molti pensionati sono passati a miglior vita, l'azienda fino a questo momento (sono passati circa dieci anni) non ha pagato a nessuno e continua a ricorrere in appello utilizzando i propri avvocati (si tratta di una grande azienda che ha un proprio ufficio legale che serve proprio a far valere i suoi diritti anche quando non sono giusti), i pensionati invece continuano a pagare i propri avvocati ed a sperare di aver ragione prima di concludere la propria vita.

Quali le considerazioni su tutto questo? Come avevo accennato prima l'ingiustizia è totale per chi ha ragione, l'ingiustizia fa comodo a chi ha violato una regola e lo incoraggia a continuare ad agire in quel modo; anche se alla distanza l'azienda dovesse pagare per essere stata condannata, lo farà soltanto per una parte dei pensionati, sia perché almeno qualche giudice avrà dato ragione a lei, sia perché non sarà tenuta a pagare per quelli che non avendo alcuna fiducia nella giustizia non avevano nemmeno intentato la causa.

Intanto la giustizia continua a sprecare moltissimo del suo tempo continuando a studiare più volte lo stesso problema dimostrando chiaramente di non essere capace di dare una risposta chiara, visto anche che le sentenze risultanti sono contrastanti.

Ma non solo la giustizia non funziona, al desolante quadro si aggiunge il fatto che le leggi sono troppe e non c'è alcun rapporto tra il reato e la pena; basta qualche esempi per dimostrarlo.

Ho ascoltato alla televisione di un povero giovane che è stato aggredito da un delinquente che gli intralciava il passaggio con l’auto e che poi quando è stato sorpassato ha raggiunto il giovane e aggredendolo con una mazza di ferro, gli ha rotto il cranio; il giovane si è fortunatamente salvato, ma ha un danno permanente alla persona e ha perso il posto di lavoro dovendo pensare a curarsi per cercare di guarire; questo episodio ha distrutto completamente la vita di quel giovane.

La causa che si sta celebrando si tradurrà certamente con una condanna per il delinquente, ma come tutti sanno quest'ultimo finirà in carcere per qualche mese, forse anche per qualche anno ma poi alla fine ritornerà a vivere come se nulla fosse accaduto; non sarà lo stesso per il giovane da lui aggredito senza ragione; dunque anche questa volta la giustizia avrà dato ragione a chi ha torto e avrà punito chi ha ragione.

Cosa fare? È semplice: ho pensato che perfino chi fa divorzio è costretto a pagare gli alimenti alla propria ex moglie per tutta la vita, per consentirle di vivere dopo essere stata abbandonata. Mi sembra quindi corretto e doveroso pretendere dal delinquente che ha distrutto questo ragazzo che lo mantenga a vita lavorando per lui.

SE NON SI FA QUESTO CI SONO DUE PESI E DUE MISURE, LA LEGGE è SBAGLIATA E LE PENE NON SONO COMMISURATE AI REATI E CHI LE APPLICA E’ SEMPRE TROPPO DELICATO NEI CONFRONTI DEI DELINQUENTI.

La giustizia non esiste.

SI. LA GIUSTIZIA NON ESISTE.

Eppure è forse questa la sola cosa che vorrebbero i cittadini onesti. Se in ogni provvedimento si badasse soltanto ad essere giusti, tutti i problemi si risolverebbero da soli.

E basterebbe che ci fosse parità di diritti e di doveri tra i controllori e i controllati e tra pubblica amministrazione e cittadini, che probabilmente molte delle brutture a cui assistiamo ogni giorno, scomparirebbero.

Vi siete mai chiesti come mai se si ritarda di un solo giorno il pagamento di un tributo il cittadino viene multato pesantemente, mentre se un ufficio e per esso un impiegato disonesto non fornisce in tempo il suo doveroso servizio, nulla accade di spiacevole nei suoi confronti?

Leggete i vari miei post sull'argomento e commentate.

COME SEMPRE I CONTROLLATI SONO TENUTI A RISPETTARE LE REGOLE, I CONTROLLORI INVECE SONO ESENTI E LIBERI DI FARE IL PROPRIO COMODO

Le cunette artificiali: Vero strumento di tortura per i cittadini,

Siamo tutti cittadini desiderosi di vivere con meno problemi possibili, ma non ci rendiamo più conto che guerreggiando contro gli automobilisti non facciamo altro che colpire noi stessi dimenticando che nelle auto ci siamo proprio noi cittadini.

Si ha paura e vergogna di proferire parole in favore degli automobilisti come se essi fossero una categoria diversa da noi stessi, ma io penso che sarebbe ora di riflettere un pò di più su quanto esporrò qui di seguito.

Molto spesso i nostri mali provengono dalle azioni degli amministratori della città che spesso agiscono secondo proprie logiche che non tengono quasi mai conto dei desideri degli amministrati o quando ne tengono conto lo fanno senza considerare quanta parte dei cittadini concorda con i loro interventi.

Questa premessa è d’obbligo e vorrei che fosse tenuta bene in considerazione da tutti coloro che avranno la pazienza di leggere queste righe e specialmente da quei pochi (ammesso che ce ne siano) che hanno fatto istanza al proprio Comune per ottenere l’installazione dei dossi artificiali nei pressi delle loro abitazioni.

Non si può non riconoscere che le strade urbane sono destinate ad essere percorse principalmente da mezzi su ruote; per i pedoni invece ci sono i marciapiedi e sono state istituite le strisce pedonali per consentire loro gli eventuali attraversamenti delle strade; così come è giustamente vietato alle auto di invadere i marciapiedi è vietato ai pedoni l’uso della strada se non utilizzando le apposite strisce per l’attraversamento.

Come sempre però nel nostro Paese la giustizia ha sempre un a doppia faccia e mentre si è sempre pronti a multare un automobilista che avesse l’ardire di invadere un marciapiede è veramente improbabile che un pedone venga analogamente multato per aver attraversata una strada al di fuori delle strisce pedonali.

Ma non basta, invece di pretendere che anche i pedoni rispettino le regole, si preferisce rendere ancora più difficile la vita degli automobilisti e si agisce contro di loro per garantire la libera circolazione dei pedoni anche sui luoghi destinati alle auto.

Una chiara prova di ciò è l’installazione delle ignobili cunette artificiali, talvolta dette rallentatori.

L’assurdo è che le amministrazioni delle città, che tra i tanti doveri hanno anche quello di mantenere in ordine le strade, utilizzano i nostri soldi per ricoprirle con un bel manto liscio di asfalto e poi, spendendo altri nostri soldi, le rendono nuovamente inagibili installandovi sopra una serie di asperità artificiali.

I nostri amministratori continuano imperterriti in questa direzione con le seguenti conseguenze:

  • I cittadini pagano due volte: per l’acquisto e l’installazione delle cunette e per riparare i danni che prima o poi verificheranno sulle loro autovetture.
  • Chi è malato (a titolo di esempio: di osteoporosi) deve sopportare frequentissimi sobbalzi obbligatori, che sono impossibili da evitare anche superando quegli ostacoli a velocità di pedone
  • Il traffico viene intralciato oltre misura dovendo procedere a singhiozzi
  • I consumi delle auto aumentano a causa delle continue decelerazioni ed accelerazioni
  • L’inquinamento aumenta perché è noto che ogni motore costretto a continue accelerazioni e decelerazioni produce molto più ossido di carbonio di quanto farebbe in una marcia a velocità più costante
  • L’estetica della città peggiora, perché indubbiamente tante cunette zebrate sono proprio un obbrobrio
  • I motociclisti e i ciclisti più degli altri devono prestare ancora più attenzione e rischiare anche delle brutte cadute (ma, una volta che questi cittadini hanno inforcata la moto o la bici, non sono più degni di attenzione e non devono essere più protetti?)

Di contro è facile notare che moltissimi automobilisti, forse perché non sofferenti e/o perché non si curano dei possibili danni all’auto, procedono come se le cunette non ci fossero e non rallentano affatto e quanto affermo vale perfino per i mezzi pubblici che scuotono senza alcuna attenzione i passeggeri, malati o non, non curandosi proprio delle asperità.

Si può dunque concludere che questa invenzione produca ben poco in termini di rallentamenti, determina solo fastidio e pericolosità e non può essere di interesse per nessuno se non per le ditte che producono e forniscono questi oggetti infernali ed incivili.

Ma c’è ancora una cosa che deve essere sottolineata: l’amministazione dei Comuni non solo usano i nostri soldi per deturpare e rendere più pericolosa le nostre strade, ma lo fanno senza neanche rispettare le leggi che esistono in materia.

A solo titolo di esempio ho esaminato nel dettaglio i dossi installati in una via della mia città (via percorsa anche da mezzi pubblici) ed ho constatato che hanno un’altezza di cm. 5 e una lunghezza di cm. 90 e che quindi non sono regolamentari; non lo erano prima, quando la velocità consentita era di 50 Km/h, né successivamente quando, avendo fatto notare al competente assessore l’irregolarità, la sua soluzione fu quella di far apporre un cartello che limita la velocità a 30 km/h.

Infatti il D.L. 30/4/1992, n.285 “Nuovo Codice della Strada” all’articolo 179 comma 6 recita:

  • i dossi di cui al comma 4, sono costituiti da elementi in rilievo prefabbricati o da ondulazioni della pavimentazione a profilo convesso. In funzione dei limiti di velocita' vigenti sulla strada interessata hanno le seguenti dimensioni:

  • per limiti di velocita' pari od inferiori a 50 km/h larghezza non inferiore a 60 cm e altezza non superiore a 3 cm;

  • per limiti di velocita' pari o inferiori a 40 km/h larghezza non inferiore a 90 cm e altezza non superiore a 5 cm;

  • per limiti di velocita' pari o inferiori a 30 km/h larghezza non inferiore a 120 cm e altezza non superiore a 7 cm.
…….
In più la Direttiva Ministeriale 24-10-2000 pubblicata nella Gazz. Uff. 28 Dicembre 2000, n. 301 (Direttiva sulla corretta ed uniforme applicazione delle norme del codice della strada in materia di segnaletica e criteri per l’installazione e la manutenzione - 5.6 impieghi non corretti della segnaletica stradale complementare -) dove si legge negli ultimi due punti:
……
I dossi prefabbricati devono essere approvati; quelli eventualmente collocati su itinerari di attraversamento dei centri abitati, lungo le strade più frequentemente percorse dai veicoli di soccorso, di polizia o di emergenza, o lungo le linee di trasporto pubblico, devono essere rimossi.

Si rammenta che il loro permanere in opera, in caso di incidenti riconducibili alla loro collocazione, può dar luogo a responsabilità in capo a chi ne ha disposto la collocazione o a chi non ne ha disposto la rimozione.

CONCLUSIONE
Siamo di fronte ad un modo di agire prepotente di “chi è al comando” che ritiene di poter esser spregiudicato e irrispettoso delle regole e di poter disporre tutto quello che vuole, sicuro di non dover mai pagare le conseguenze di azioni anche illecite.

QUANDO RIUSCIREMO A VEDERE UN SINDACO ED UNA INTERA GIUNTA MULTATA E PERSEGUITA PER NON AVER RISPETTATO LE LEGGI? SONO DIVERSI DA NOI, OPPURE LORO HANNO DIRITTO ALLA INOSSERVANZA?

Chi desiderasse leggere le due inutili lettere che ho inviato al nostro Sindaco il 2 luglio 2007 e il 18 ottobre 2008 per sollecitarlo ad un intervento, sappia che può trovarle ai seguenti link:

http://www.ffellico.com/al_sindaco_1.htm
http://www.ffellico.com/al_sindaco_2.htm