sabato 6 giugno 2020

Quello che le associazioni dei consumatori dovrebbero fare.


Questo scritto segue quello precedente e riguarda lo stesso tema, ma questa volta non mi rivolgo direttamente ai consumatori, ma a quelle organizzazioni che hanno come obiettivo, almeno nel loro statuto, la loro difesa.

Mi è capitato  di  leggere  al link:  https://codacons.it/scontrini-maggiorati-536-euro-a-famiglia/ un articolo del 5 giugno 2020 pubblicato da “Il Resto del Carlino” e d ecco le mie osservazioni al riguardo.

Il tenore di quanto vi si legge non è dissimile da tanti altre informazioni divulgate da Codacons, ma anche da qualunque altra associazione di consumatori.

Nell’articolo citato si riporta quello che sta accadendo alla ripresa  delle attività commerciali. Viene rilevato un fatto, ormai noto a tutti, e cioè che la grande maggioranza degli esercizi commerciali alla ripresa delle attività hanno ritoccato pesantemente i prezzi naturalmente aumentandoli.

Il Codacons avrebbe addirittura calcolato che questi aumenti provocheranno una maggiore spesa annua di 536 euro a famiglia. E chiarisce anche che 166 euro sono da ascrivere al settore alimentare, 124 euro per la ristorazione, 85,5 euro per abbigliamento e calzature e 30,5 euro per i parrucchieri.

L’associazione ha poi stilato una classifica degli aumenti stabilendo che al primo posto ci sono gli e-book con un aumento del 30,4% in soli tre mesi; poi c’è la frutta fresca, i PC portatili e fissi, i palmari e i tablet con un aumento del 12,8% e i monitor e le stampanti che sono aumentati del 11,3%.

Ma a che servono queste notizie? Ad affliggere ulteriormente i consumatori? Non sarebbe stato piuttosto meglio, agire in qualche modo per difenderli?

L’associazione dirà che ha fatto giungere la propria protesta alla Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercenti) che naturalmente di contro avrà negato l’esistenza degli aumenti ammettendoli soltanto in qualche “raro caso”; ma la cosa, come sempre, finisce lì e gli aumenti non solo rimangono, ma certamente sono destinati anche ad allargarsi.

L’azione delle associazioni dei consumatori hanno quindi un effetto NULLO su quello che accade, visto che ci si limita soltanto a monitorare gli eventi senza porre in atto alcuna azione collettiva che sia della stessa portata di quella attuata dai commercianti.

Se esaminiamo l’accaduto, potremmo concludere che poiché i commercianti hanno subito un danno, prima per la prolungata chiusura e poi per il successivo minor afflusso di clienti, hanno aumentato i prezzi allo scopo di riprendersi tutto quanto perduto.

Questa sarebbe la loro giustificazione anche se, come sempre accade, quando si applica un aumento ai prodotti a causa di un evento imprevisto che lo giustifica, ogni esercente provvede ad aggiungervi quel po’ di margine in più per poter incrementare i propri guadagni.

Chi soffre per questo sono soltanto i consumatori che pur essendo in maggioranza, sembrano costretti a subire le angherie degli esercenti che sono invece in netta minoranza.

Quello che io osservo è che se il Covid-19 ha colpito l’intera umanità, i danni relativi devono ovviamente essere subiti da tutti indistintamente, non soltanto dai consumatori; e questi ultimi, oltre ai danni diretti che hanno subito, non hanno alcun dovere di attutire quelli subiti dai commercianti.

Osservo anche che per norma, quando la domanda diminuisce, così come è nel nostro caso,  i prezzi dovrebbero diminuire e non aumentare. E’ noto che quando la richiesta di carburanti è diminuita notevolmente, i loro prezzi hanno subito una netta diminuzione; e se l’afflusso, ad esempio ai ristoranti e ai bar, si è ridotto anche quei prezzi sarebbero dovuti diminuire; ed invece essi, secondo i commercianti, devono AUMENTARE.

Al momento, visto che la paura di esporsi è ancora molto alta e non tutti i consumatori sono disponibili a recarsi a cena in un ristorante o a prendere un caffè o un aperitivo al bar, mi aspetterei che i ristoratori e i baristi provassero ad invogliare il pubblico con una diminuzione dei prezzi piuttosto che con un aumento.

Dunque il comportamento di tutti i commercianti è illogico e se i consumatori li accettano senza reagire, bisogna riconoscere che lo fanno “stupidamente”. E i commercianti approfittano proprio di quella stupidità.

Oggi gli esercenti dovrebbero “pregare” i consumatori di riprendere a spendere, ed invece li scoraggino con aumenti controproducenti.

Ma ora, come è mia abitudine, poiché non mi piace fare critiche senza anche proporre possibili soluzioni, passo ad esporre come un’associazione consumatori dovrebbe muoversi per proteggere effettivamente la categoria.

Osservo prima di tutto che la forza disponibile è elevatissima perché i consumatori sono molto di più dei commercianti e quindi in numero tale da poter imporre le regole, piuttosto che subire quelle fissate da una categoria molto meno numerosa.

Basterebbe quindi organizzarsi, per riuscire immediatamente a capovolgere il mercato e a far sì che i prezzi siano determinati dai consumatori e non dagli esercenti.

Mi risulta che alcune associazioni consumatori hanno organizzato “gruppi di acquisto” per ottenere prezzi particolarmente vantaggiosi per la fornitura di servizi; e lo fanno utilizzando la forza della quantità di contratti da proporre ai fornitori.

E allora perché non organizzare gruppi di consumatori che tutti insieme costringano i commercianti a smettere di tartassarli e a fare in modo che i loro  prodotti siano offerti a prezzi più onesti?

Si tratta di una vera e propria guerra che consentirebbe ai numerosi consumatori di coalizzarsi e vincere tutte le battaglie. 

Un chiaro esempio di quello che utilmente potrebbe fare un’associazione consumatori? Eccolo:

Potrebbe individuare e verificare quegli esercenti che secondo la Fipe NON HANNO FATTO AUMENTI e aggiungervi anche altri disposti a lasciare inalterati i prezzi a quelli ante Coronavirus o meglio ancora a ridurli; potrebbe redigere degli elenchi per categoria di questi operatori onesti ed invitare tutti i consumatori a servirsene, chiedendo loro invece contemporaneamente a DISERTARE tutti quelli non presenti negli elenchi.

Si otterrebbe così un incremento dell’utilizzo degli esercenti virtuosi e una immediata diminuzione dell’accesso agli esercizi che hanno operato gli aumenti.

Ovviamente quei commercianti che per la loro ingordigia rimanessero quasi fuori mercato, potrebbero essere inseriti anch’essi negli elenchi delle associazioni consumatori, dopo aver però  dimostrato di aver riadeguato i prezzi; quelli che invece dovessero continuare a tenere i prezzi maggiorati, subirebbero la giusta punizione di una notevole riduzione dei clienti.

Tutto questo sarebbe facile da realizzare e le associazioni consumatori dovrebbero farlo senza nessun onere per i consumatori; potrebbero però chiedere agli esercenti virtuosi un piccolo contributo per sostenere le spese derivanti dall’organizzazione; ovviamente però le associazioni dovrebbero riempire gli elenchi sempre e solo con i nomi di quegli esercenti che avranno dimostrato veramente di essersi adeguati con prezzi uguali o inferiori a quelli in essere prima dell’arrivo del virus.

In sostanza la “tassa Covid”, così come è stata chiamata, verrebbe sostituita piuttosto da un “bonus Covid” così come dovrebbe essere per vivacizzare un mercato in regressione.

Ovviamente occorrerebbe la collaborazione di un elevato numero di consumatori che dovrebbero anche essere disposti a rinunziare sia ad una cenetta al ristorate, sia ad una tazzina di caffè al bar pur di non agevolare le scelte scellerate ed illogiche degli esercenti.

Perfino il Governo ha dato prova di incentivare in vari modi i consumatori a spendere, e se i commercianti pensano di dover andare contro corrente, è bene che ne paghino le conseguenza direttamente e subito.

Franco Fellicò