Siamo ormai prossimi a tre anni
dal naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio, ma il processo sulle
responsabilità dell’accaduto ancora non si conclude e chissà quanto tempo
occorrerà ancora.
Sono morti 32 persone, la nave
costata mezzo miliardo di euro è stata anche “ripescata” e portata a Genova da
una impresa titanica dal costo di un miliardo e mezzo di euro; sarà anche
demolita completamente e il processo invece rimarrà ancora in piedi per chissà
quanti anni ancora.
Io credo che anche i bambini
possano riconoscere nel comandante Schettino la causa vera della tragedia; difatti
NESSUNO PUO’ DISCONOSCERE che il passaggio così vicino alla costa da consentire
addirittura ai passeggeri superstiti di raggiungerla a nuoto, è stata ordinata
da lui.
Il comandante in effetto ha usato
il bellissimo mezzo, con migliaia di vite umane a bordo, come fosse un
giocattolo, e ciò solo per dimostrare la sua “bravura” o per soddisfare il
piacere di qualche suo amico: NESSUN motivo legato al lavoro di gestione della
nave e della sua sicurezza poteva richiedere infatti quel passaggio lungo costa
così ravvicinato.
Eppure il processo continua ad
andare avanti alla ricerca di possibili diverse responsabilità, e gli avvocati
difensori del comandante continuano a cercare e a dimostrare che la nave aveva
dei problemi, volendo affermare che la causa del disastro fu causata da quei
problemi e non già dalla “stupidità” del loro rappresentato.
Quello che mi meraviglia è che i
giudici li seguono, consentendo loro di spostare l’attenzione su fatti diversi
da quelli della sfacciata volontà di chi “guidava la nave”.
Insomma a che serve verificare se
effettivamente due radar su quattro del transatlantico erano guasti, a sapere
che la scatola nera aveva dei problemi e che finanche il pulsante per il
comando delle pinne stabilizzatrici era difettoso?
Quali di questi strumenti anche
se perfettamente a posto avrebbe potuto evitare l’impatto con lo scoglio quasi
sulla riva dell’isola del Giglio? Si vuol per caso dimostrare che il povero comandante
Schettino non ha potuto servirsi di quei dispositivi e dunque per questo è
finito sullo scoglio?
Ma, premesso che certamente il
comandante doveva conoscere l’inefficienza di certe apparecchiature, poteva mai
affidare ad esse il compito di non urtare uno scoglio a pochi metri dalla riva?
Insomma, io dico che a monte di
tutto c’è la decisione del comandante di “fare la barba” alla costa, decisione
insulsa e priva di ogni spiegazione legata alla rotta della nave; ed invece di
approfondire questa decisione, si continua a sviare il discorso occupandosi di
particolari che nulla avrebbero causato se la nave avesse viaggiato alla
distanza regolamentare dalla costa.
L’altra cosa che mi ha colpito in
questa vicenda è il comportamento della Guardia Costiera che è stato presentato
all’opinione pubblica come eccellente, mentre nessuno le ha mai contestato
l’assenza di interventi precedenti nei confronti dei comandanti dei
transatlantici per la comune pratica di passare molto vicino all’isola.
Non posso fare a meno di pensare
alle innumerevoli volte in cui a Gaeta dove vivo, sono stato apostrofato anche
malamente da quegli uomini perchè con la mia piccola imbarcazione di soli 5
metri ero ancorato e fermo, secondo loro troppo vicino alla spiaggia; eppure
ero certamente più lontano dalla costa di quanto non lo era quel gigante del
mare al momento del naufragio e anche all’incirca alla distanza a cui da tempo
le grosse navi passavano vicino all’isola del Giglio; tutto questo non poteva
essere non noto alle Capitanerie di Porto; e dunque se questi, avessero
diffidato già nel passato i comandanti dal farlo, probabilmente anche Schettino
sarebbe stato costretto a rispettare le regole.
Ma la giustizia, che come io dico
a tempo: non esiste, continua ad occuparsi di particolari che nulla hanno a
che vedere con le responsabilità del comandante.
Franco Fellicò