martedì 28 giugno 2011

ED ORA PARLIAMO DI CARCERI E CARCERATI.

La nuova attualità è l’iniziativa Radicale e anche l’insieme di manifestazioni da essa scaturite di giovani e non, che stendono a mò di panni da asciugare i manifesti delle centinaia di detenuti morti per suicidio.

Manifestano perché il carcere è troppo duro, perché alcuni detenuti non hanno NEANCHE una doccia, perché sono in 77.000 in luoghi dove invece ne sarebbero previsti solo 25.000.

Tutti costoro sembrano dimenticare che chi è detenuto si è spesso reso colpevole di efferati delitti, che la pena loro inflitta è SEMPRE molto inferiore a quella che giustamente dovrebbero scontare e che comunque la durata della loro pena, per motivi diversi, difficilmente raggiungerà quella a loro comminata.

Dimenticano anche che la crisi degli spazi esiste per tutti e che al giorno d’oggi ci sono tantissime famiglie PERBENE costrette a vivere in piccoli appartamenti se non in baracche sicuramente inadeguati alle loro necessità e molto spesso, forse anche più che nelle carceri, senza quella famigerata doccia che i signori di cui sopra ritengono doveroso destinare ai “poveri” reclusi.

Io non voglio essere il solito “bastian contrario”, ma quando ho ascoltato qualcuno (purtroppo non ho avuto il piacere di conoscere il suo nome) alla TV che affermava che ai carcerati bisogna togliere la libertà, ma non anche tutti i diritti spettanti ad un uomo, non ho più resistito e ho voluto anch’io esternare il mio pensiero.

Quest’ultimo signore, quello che ritiene che si possa togliere la libertà a qualcuno senza però togliergli alcun diritto, evidentemente pensa che la libertà è soltanto la possibilità di uscire di casa quando lo si desidera, e quindi non conosce evidentemente neanche il significato di quella parola.

Ma poi, pensa costui, e anche tutti quelli che stanno inscenando le note dimostrazioni, che esistano solo i diritti? Non pensa e non pensano che la vita prima di essere degna di diritti ha innanzitutto l’obbligo dei doveri?

Ma nessuno parla di doveri; i detenuti sono dei poveri derelitti, che essendo rinchiusi in una cella hanno bisogno più di ogni altro individuo di distrarsi, altrimenti è facile che arrivino al gesto estremo del suicidio.

Ebbene cosa propongono questi dimostranti? Maggiore spazio per distendersi, attività ludiche per distarsi, divertimenti o qualunque altra cosa possa tenere impegnati detti signori affinchè, trovando piacevole la vita in carcere, si guardino bene dal pensare al suicidio.

Nessuno invece ha pensato di proporre: facciamo lavorare questi individui, in maniera che presi da un po’ di impegni e responsabilità, siano meno afflitti dalla loro situazione di reclusi e contemporaneamente contribuiscano, con un apporto utile per la società, ad espiare il mal fatto.

Io, è da tempo che penso che il peggior modo di punire un individuo è quello che utilizziamo in Italia e anche in buona parte del mondo, e nei miei scritti precedenti ho anche accennato a come sarebbe più logico agire, sia nell’individuazione della pena da comminare in funzione del malfatto, sia nel modo di far riparare ai danni apportati ad altri individui o alla società.

In ogni modo, anche lasciando in atto l’attuale sistema di attribuzione delle pene, una volta in carcere il detenuto dovrebbe quantomeno produrre quanto occorre al suo sostentamento o meglio ancora produrre qualcosa in più per consentire anche di creare (senza che i costi ricadano sugli onesti della società) nuove strutture atte a migliorare in fondo la loro stessa vita da carcerati.

No. Secondo tutti i dimostranti, siamo noi, quelli onesti, a doverci accollare tutte queste spese e saremmo noi quelli che dovremmo migliorare le condizioni di vita dei detenuti, consentendo loro di avere sufficienti distrazioni da quasi desiderare quella vita e non pensare mai più al suicidio.

Io di contro penso che sarebbe doveroso far alzare di buon mattino ciascun detenuto, al pari di tanti onesti lavoratori, farli lavorare zappando e coltivando terre incolte o costruendo nuovi edifici; al termine della settimana ad essi potrebbe essere corrisposto un normale salario (ma attenzione il 90% di esso dovrebbe essere trattenuto per sopperire alle spese dello Stato per il loro sostentamento e per l’utilizzo che essi fanno delle strutture del carcere).

Vediamo i vantaggi:

1.
Sicuramente il numero dei suicidi diminuirebbe in quanto “il lavoro nobilita l’uomo” e anche perchè chi è impegnato non si sente più tanto inutile come chi è rinchiuso in una cella in attesa che passi un tempo, che alle volte puù essere anche infinito.

2.
Le spese sostenute dallo Stato e quindi a carico dei cittadini onesti diminuirebbero con un giusto anche se piccolo miglioramento del tenore di vita di chi non ha commesso reati.

3.
La costruzione di nuovi ambienti ed edifici da destinare a carceri (a costo nullo per la manodopera visto che sarebbe realizzata dai detenuti stessi), in un tempo sia pure non breve, migliorerebbe anche lo spazio a disposizione di chi è rinchiuso.

4.
Quel 10% di salario che ciascun detenuto riceverebbe al termine della settimana di lavoro potrebbe consentire a ciascuno di loro di procurarsi anche qualche bene aggiuntivo che essendo frutto del onesto lavoro nessuno gli negherebbe.

5.
Questo genere di vita da detenuto che LAVORA, migliorerebbe la loro vita facendola assomigliare di più a quella di un essere umano che tale è soltanto perché provvede alle sue necessità lavorando giorno dopo giorno in maniera da potersi sostentare.

6.
Infine, specie coloro che si sono resi partecipi di atti criminosi per procurarsi danaro sottraendolo ad altri con imbrogli o con la forza piuttosto che guadagnandolo onestamente, potrebbero anche cominciare a capire il vero valore del lavoro e quanto sia disonesto e anche alla fine improduttivo, cercare di evitarlo.

Non pensano i manifestanti di cui sopra, i Radicali tutti, e coloro che continuano a chiedere provvedimenti inattuabili, che invece questa proposta sarebbe più logica, più fattibile e anche più efficace?

Franco Fellicò