Probabilmente qualcuno dirà che
questa esposizione è troppo “lunga” e allora invito costoro a provare ad
esprimere tutte le considerazione che troverà qui in uno scritto più breve
(magari nei 140 caratteri ammessi da Twitter).
A proposito di Twitter dirò che è
proprio questa costrizione che non mi ci ha mai fatto appassionare; infatti non
mi sembra giusto che anche quando si è dotati di una minima capacità di ragionamento,
ci si debba obbligare a “cinguettare”.
Quindi poiché questo documento
vuol essere un invito a valutare alcuni ragionamenti, dopo questa premessa, se
chi mi legge si lascia spaventare dalla sua dimensione, vada pure ad ascoltare
i cinguettii di Twitter.
Detto questo, probabilmente ora siamo
rimasti in pochi, ma ciò mi conforta perché posso pensare che chi è ancora qui,
è disposto se non ad approfondire, almeno a seguire il mio ragionamento.
Posso quindi ora dire che intendo
parlare della situazione critica in cui si trova in particolare il nostro Paese
e dei tentativi sempre più infruttuosi di chi ci governa per trovare le
necessarie soluzioni.
Sappiamo tutti che i problemi
principali sono, la disoccupazione, la recessione, la povertà sempre maggiore e
la tassazione.
Se ci pensate bene però non si
tratta di problemi diversi, ma soltanto di aspetti diversi di un unico
problema; ciascuno di essi dipende dagli altri e ciò fa sì che non si possano
affrontare separatamente neanche partendo da quello che si ritiene essere il
più grave.
Non si può pensare quindi di
affrontare la disoccupazione creando lavoro, perché il lavoro non si crea;
infatti lavoro implica produzione e produzione implica mercato.
Non si possono tassare
ulteriormente i cittadini perché essendo giunti ormai ad una pressione
fiscale che supera il 50% non si
può ancora pensare che ci siano margini per farlo, ma anche perché l’esigua
parte di danaro che rimane nelle tasche dei contribuenti non consente più di
consumare alcunché con la conseguenza di rendere sempre più inutile la
produzione di beni.
Dunque il lavoro non si crea, ma
lo si può solo incentivare; ma quale azienda assumerà lavoratori anche se
sollevato per qualche anno dai prelievi fiscali, sapendo per certo che non riuscirà
a vendere ciò che produce?
Intanto, il fatto che il problema
sia unico dovrebbe confortarci, perché evidentemente si tratta di trovare un
unico intervento o un unico insieme di interventi che consentano di invertire
tutti gli andamenti negativi.
E allora bisognerebbe capire che
il lavoro manca semplicemente perché le aziende chiudono, ma anche che le
aziende chiudono non tanto perché il costo del lavoro è alto, ma piuttosto
perché niente può essere prodotto se non per essere immediatamente venduto, e poiché
il mercato interno è ormai ridotto al lumicino, mentre per quello
internazionale non siamo competitivi, è inutile produrre ciò che nessuno
acquisterà mai.
Dunque gli incentivi fiscali non servono
a niente, a meno che non si possa fare in modo anche di far riprendere i
consumi, e per farli riprendere l’unico modo è di lasciare nelle tasche dei
contribuenti una maggiore quantità di denaro.
Questo lo si sa benissimo, le
tasse comprimono i consumi tanto è vero che spesso per arginare certi consumi il
Governo li ha tassati proprio con lo scopo di farli ridurre; come si può
pensare quindi che quegli stessi governanti non siano consci che la tassazione
(specie quella al 50% e più) è la fonte primaria della contrazione dei consumi?
E anche che l’aumento di un altro
punto dell’IVA servirebbe proprio a ridurli ulteriormente?
Dunque il risultato di tutto
questo è che le aziende chiudono inesorabilmente, ma quando chiudono un’importante
danno ricade proprio sullo Stato perché i suoi introiti diminuiscono mentre le
sue spese aumentano; infatti l’erario incassa meno tasse dalle aziende chiuse e
dai lavoratori ormai a casa e spende più soldi per sostenere i disoccupati; in
più la povertà aumenta, il danaro disponibile per gli acquisti diminuisce
ulteriormente e il mercato si contrae con nuove possibili chiusure di aziende. E’ una reazione a catena che è
difficile bloccare!
Ovviamente sostituire gli
introiti perduti e i maggiori bisogni rivenienti dalla necessità di sostenere
un maggior numero di disoccupati con altra tassazione (che necessariamente si
scaricherebbe su un numero sempre minore di possibili contribuenti), non fa
altro che peggiorare la situazione provocando la chiusura anche delle aziende
superstiti e il passaggio tra i disoccupati di altri lavoratori.
Tirando le somme, anche un
bambino si renderebbe conto che la PRIMA cosa da fare per invertire TUTTI
questi andamenti negativi, sarebbe LASCIARE PIU’ SOLDI nelle tasche dei
contribuenti, e non soltanto delle aziende, ma di TUTTI: aziende e cittadini!
Eccolo quindi il vero problema;
ormai non c’è più niente da tassare e non esiste più denaro tra i cittadini che
possa essere utilizzato né a sostenere chi il lavoro non lo ha, né a ridurre la
pressione fiscale alle aziende superstiti.
Ma qualcuno potrà dire: come lo
Stato può mantenere in essere tutti i servizi che nel tempo sono stati creati
per un buon funzionamento dell’intera nazione e per un minimo di welfare, pur introitando
meno tasse?
La risposta a questa domanda la
si può avere seguendo un altro ragionamento che riporto qui di seguito.
Finora, i Governi si sono
considerati SERI quando hanno asserito che non è possibile mai togliere una
tassa o rinunziare ad aggiungerne un’altra se non si trova la cosiddetta
“copertura”.
Questo significa che un governo
SERIO prima di rinunziare ad un introito deve trovare il modo di sostituirlo
con un altro; è ovvio quindi che non potendo fabbricare denaro dal nulla, i
governanti altro non fanno che spostare i prelievi, ma non li possono mai
evitare; ed invece nella prima parte di questo documento mi pare di aver
proprio dimostrato che per avere un risultato, i prelievi non dovrebbero essere
spostati, ma EVITATI.
In più poichè le esigenze
aumentano (più disoccupazione = minori entrate e maggiori uscite) le tasse
dovrebbero anche essere aumentate.
Tutto questo significa
chiaramente che per ridurre veramente la pressione fiscale occorrerebbe poterlo
fare anche in mancanza di copertura. E allora supponiamo di farlo ugualmente e
vediamo quindi cosa succederebbe in questo caso.
Per chiarire come ciò può essere
fatto senza tema di essere considerato “poco serio” utilizzerò come esempio
quello che può avvenire all’interno di una famiglia onesta quando per un motivo
qualunque si dovesse verificare una riduzione sensibile degli introiti.
Quello che il capo famiglia
farebbe in tale eventualità, sarebbe di ridurre le spese, ovviamente partendo
da quelle voluttuarie, ma se necessario intaccando anche quelle indispensabili,
fino a giungere ad utilizzare i pochi proventi rimasti per le sole spese
necessarie alla sopravvivenza. Certamente, se è veramente un uomo onesto, non
manderebbe i figli a rubare pur di continuare a mantenere il precedente tenore
di vita.
Ebbene uno Stato onesto dovrebbe
fare allo stesso modo, ed invece quando cerca una “copertura” per evitare una
nuova tassazione o per mantenerne una vecchia o per far fronte ad una nuova
esigenza e come se decidesse di rubare pur di non adeguare le spese alle
disponibilità.
Nel tempo, la vita sociale ci ha
regalato tante belle cose: sanità, scuola, servizi sociali, ordine pubblico,
giustizia e tante ma tante cose che CI SEMBRANO ora indispensabili e che sono
anche effettivamente utili, ma in un momento di crisi come quello attuale,
quando come in una famiglia bisogna stringere la cinghia, occorre capire che
queste conquiste non possono rimanere tali a meno di non agire in maniera
disonesta andando a rubare nei portafogli sempre più vuoti dei cittadini.
Quando si dice che abbiamo finora
vissuto al di sopra delle nostre possibilità e che dobbiamo rivedere il nostro
modo di vivere, non significa che questo vale soltanto per i privati cittadini,
ma anche e soprattutto per i servizi pubblici e che quindi non possiamo più
pretendere che in ogni occasione lo Stato mantenga in essere tutti i servizi
che siamo stati capaci di inventare nel tempo; senza contare poi che moltissimi
di essi sono addirittura superflui.
Ovviamente bisognerebbe partire,
come in una famiglia in difficoltà, eliminando i servizi meno importanti, ma
comunque se non bastasse, dovremmo intervenire anche su quelli più importanti,
fino a giungere se necessario a riadeguare anche quelli che si possono definire
quasi indispensabili.
Ma per evitare di considerare
tutto indispensabile bisognerebbe ragionare in un modo completamente diverso e
invece di partire dalle esigenze (che oltre tutto si è abituati a considerare
sempre tutte indispensabili) bisognerebbe partire dalle disponibilità.
Cosa intendo dire? Intendo dire che
sarebbe possibile, se lo si volesse veramente, evitare di dover trovare le
“coperture”, semplicemente distribuendo quello di cui si dispone (senza ovviamente
andare a rubare) nel più equo modo possibile tra le varie esigenze, stando
ovviamente attenti a valutare quali sono quelle più importanti.
Ci sono delle correnti di
pensiero, quello comunista in particolare, che ritengono che piuttosto che
creare ricchezze bisogna distribuire equamente quello di cui si dispone; io non
la penso in questo modo ma fin quando non si riesce a disporre di nuove
ricchezze mi sembra ovvio che ci si debba accontentare di distribuire quelle
poche di cui si dispone; soltanto che a me sembra che i comunisti ritengono
soltanto di dover togliere a chi ha di più per dare a chi ha di meno senza
guardare se chi ha di più è una formica e chi a di meno è una cicala, ma non
anche di ridurre i servizi a tutti, quando la ricchezza di cui si dispone
risulta insufficiente.
Intanto osservo che tutti parlano
di CAMBIAMENTO, ma poi si ragiona sempre allo stesso modo e quindi non si
cambia assolutamente niente; invece un vero cambiamento potrebbe essere proprio
questo: “distribuire le disponibilità tra le esigenze e non cercare le
disponibilità per mantenere in essere TUTTE le esigenze”.
Bisognerebbe quindi partire da
una tassazione ONESTA, tale da dar respiro a TUTTI i contribuenti; una congrua
RIDUZIONE dell’IVA, una forte riduzione delle accise sui carburanti, una
riduzione degli scaglioni dell’IRPEF e poi anche una detassazione duratura alle
imprese indipendentemente dalle assunzioni, perché se le imprese producono e
guadagnano, assumono certamente di propria iniziativa.
Se la forte tassazione, come
tutti ormai riconoscono, è fonte di chiusura di aziende, di stagnazione del
mercato e d’impoverimento generale, una forte riduzione della pressione fiscale
invertirebbe chiaramente questo trend e sia il mercato che il lavoro
rinascerebbe; e di conseguenza la disoccupazione diminuirebbe fino ad
azzerarsi.
E come coprire le spese per le
esigenze dello Stato? Certo, a
causa della riduzione degli introiti, specie inizialmente, le disponibilità
economiche dello Stato sarebbero minori delle attuali, ma poiché come si è già
detto chi è onesto, in tempo di crisi deve ridurre le spese adeguandole alla
disponibilità, anche lo Stato dovrebbe agire così e decidere non più di
assegnare a ciascun servizio delle cifre in valore assoluto, ma di farlo in una
percentuale degli introiti proporzionale all’importanza del servizio, decidendo
in questo modo quanto a ciascuno va assegnato.
Ad esempio alla sanità potrebbe
essere attribuito il 20% degli introiti dell’erario, alla scuola il 10% di
quell’introito e così via per i vari servizi fino a giungere ad utilizzare
tutto o quasi tutto si ha disponibile.
Ovviamente potrebbe essere
lasciata una piccola percentuale da parte (ad esempio un 10% del tutto) così
come farebbe ogni buon padre di famiglia per utilizzarlo nel caso d’imprevisti;
fermo restando che se detta parte non dovesse essere utilizzata nell’anno,
venga aggiunta agli introiti dell’anno successivo.
Questo sistema consentirebbe di
adeguare automaticamente la sovvenzione ricevuta da ciascun servizio pubblico a
quanto disponibile anno per anno e in questo modo si avrebbe il vantaggio di
migliorare i vari servizi man mano che gli introiti aumentano (e
prevedibilmente essi aumenteranno se il mercato ricomincerà a muoversi e le
aziende ricominceranno a riaprire); e non ci sarà neanche il bisogno di
preparare una finanziaria ogni anno per coprire vecchie e nuove esigenze.
L’unica possibilità del Governo
sarebbe quella di rivedere di tanto in tanto le percentuali utilizzate per i
vari servizi, togliendo qualcosa a qualcuno in favore di qualche altro, ma
sempre distribuendo percentuali di disponibilità.
Ho tralasciato tutti i possibili
discorsi sull’evasione fiscale per due motivi: sia perché non esiste una genialata con
la quale risolvere questo problema dall’oggi al domani, sia perché si può
ritenere che buona parte dell’evasione è stata provocata proprio dalla
eccessiva pressione fiscale e poi è dilagata quando ci si è accorti con quanta
facilità si può evadere.
La lotta all’evasione va fatta
certamente, ma i frutti che ne derivano giorno dopo giorno non sono sufficienti
a coprire le necessità e quindi non sono da soli una soluzione praticabile.
Viceversa agendo secondo la mia
proposta, tutti i proventi che si riuscissero a realizzare dalla scoperta delle
evasioni servirebbero a far crescere le disponibilità dell’erario con
conseguente beneficio per ciascun servizio che se ne avvantaggerebbe
proporzionatamente alla propria importanza.
Come risultato la qualità dei
servizi sarebbe sempre proporzionato al gettito, non ci sarebbe mai necessità
di tartassare ulteriormente i contribuenti e i servizi forniti alla
cittadinanza migliorerebbero o peggiorerebbero automaticamente proprio secondo
le disponibilità.
La “spendig review” è stata un timido
tentativo di ridurre le spese, ma si è rivolto solo verso quelle considerate
non importanti; questo va benissimo, ma se come si è visto i risultati sono
stati miseri, allora o si è considerato tutto indispensabile, oppure vuol dire che
avremmo dovuto agire purtroppo anche sui servizi più importanti.
Ovviamente ai servizi superflui
si può sempre attribuire una percentuale di sovvenzione dello 0% con il che si
aboliscono totalmente.
Ma ci sarà mai qualcuno disposto
a delle scelte così traumatiche? Forse sarà proprio la semplicità dell’idea a
non consentirne la realizzazione, perché le menti dei politici sembra vogliano
sguazzare nelle cose complesse e rifuggono dalle soluzioni semplici; le loro
capacità si esprimono al meglio se riescono a complicare anche le cose semplici
che naturalmente affrontano e credono di risolvere con regole sempre più
complesse tali solo da rendere più facile ai furbi italiani il loro
aggiramento.
Un’ultima considerazione voglio
fare che a mio avviso potrà contribuire a rendere più valida la mia proposta;
ho sempre asserito che provando ad agire in maniera completamente opposta a
quella adottata dai nostri governanti, si potrebbero raggiungere meglio gli
obiettivi perseguiti; ho spesso verificato quanto sia vera quest’affermazione e
anche in questo caso la mia proposta dimostra che un’azione OPPOSTA a quella
verso cui si orienta il Governo può meglio risolvere il problema.
Ora che ho finito, mi aspetto
anche un contraddittorio, ma per favore fate in modo che sia costruttivo, non
limitatevi a spiegare perché quest’approccio è difficile da attuare, non
elencate i mille motivi per cui un cambiamento simile non si può fare; ma piuttosto
proponete una soluzione diversa e se proprio non l’avete, al limite concordate
con quello che sta facendo il Governo, ma dimostratemi che i miei ragionamenti
sono sbagliati; viceversa aiutatemi a migliorare l’idea.
Franco Fellicò
1 commento:
Caro Franco, non è del tutto vero, come spesso si dice, che il bilancio familiare e bilancio pubblico si assomigliano. L'economia nazionale è la risultante di milioni di micro-sistemi economici tra loro interconnessi e non è un sistema chiuso, ma inserito nel sistema economico mondiale, con mercati interconnessi e aperti. Per uscire dalle difficoltà attuali occorrono, quindi risposte compatibili con i vincoli che derivano dal funzionamento di una economia nazionale aperta.
Alcuni fattori rilevanti:
Debito pubblico
Il nostro debito pubblico è grande, crescente e finanziato per il 40% all'estero. In assenza di rilancio economico e di scarsa competitività del sistema Italia, i mercati finanziari richiedono costi elevati e molto variabili per rinnovare il debito.
Distorsioni del sistema economico: allocazione delle risorse tra i settori
La ricchezza nazionale è squilibrata tra i settori. E' rappresentata soprattutto da ricchezza immobiliare, a danno dei settori produttivi avanzati e innovativi, i soli in grado di dare continuità di lavoro e di competere nei mercati internazionali, ove si riscontrano fattori di costo più favorevoli.
Distorsioni del sistema economico: distribuzione della ricchezza e dei redditi
Negli ultimi anni si sono accentuate le concentrazioni della ricchezza e dei redditi e si riduce l'occupazione.
Questo comporta che ci muoviamo verso equilibri economici declinanti, lontani dal potenziale consentito dall'uso completo dei fattori produttivi (vedi l'assurdo basso livello di utilizzazione degli impianti, i bassi consumi e l'elevata disoccupazione).
In conclusione, non basta una gestione dell'economia con metodi tradizionali: l'Italia è una nave in secca, non più governabile con le tradizionali politiche monetarie e fiscali. Per riportarla in navigazione occorre correggere le distorsioni di sistema, avere una corretta visione del futuro.
Che fare ?
Rendere le istituzioni pubbliche più adeguate a fare il paese più adatto a competere nei mercati mondiali
Burocrazia, servizi pubblici e giustizia più funzionali ed efficienti, formazione avanzata e professionale di qualità, lotta efficace all'illegalità e all'evasione fiscale devono essere incentivati attraverso la riorganizzazione e la responsabilizzazione del settore pubblico.
Rendere le istituzioni pubbliche più capaci di valorizzare il notevole patrimonio pubblico
Ci vuole un po' di tempo, ma è ora di darsi una smossa
Adottare forme di integrazione delle ricchezze pubbliche e private
E' notorio che il Giappone ha un debito più elevato dell'Italia, ma non paga spread di interesse; il debito è prevalentemente interno e il paese viene percepito come coeso, dove cittadini e stato sono in grado alla bisogna di collaborare.
Ricchi e poveri, imprenditori e lavoratori siamo sulla stessa barca. Se vogliamo proteggere i nostri risparmi e le nostre ricchezze, se vogliamo mantenere le nostre pensioni e il livello di vita, le ricchezze personali accumulate dai cittadini devono servire in qualche modo a garantire il debito pubblico (lo spread andrebbe a zero).
Politica fiscale
Deve servire a riequilibrare e ridurre le distorsioni che si sono accumulate nel tempo. Quindi defiscalizzazione dei redditi da lavoro e da impresa, maggiore tassazione delle ricchezze non direttamente produttive (immobiliare e finanza) e progressività d'imposta.
Politica economica
Investimenti sul capitale umano, rilancio della formazione, incentivi ai settori più interessanti per il futuro.
Rinnovo della politica
A parte la riforma di istituzioni e della casta, l'economia non ama che noi ci trastulliamo da venti anni per Berlusconi e contro Berlusconi. Diamo un incentivo adeguato a Berlusconi (grande statista ed economista, uno che di questi tempi si distrae col bunga-bunga e predica la restituzione dell'IMU) per il pensionamento. 5 miliardi e ringraziamenti potrebbero andar bene, così anche gli anti Berlusconiani non avrebbero alibi. Lo spread diminuirebbe immediatamente e ci guadagneremmo due volte.
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