sabato 31 marzo 2012

Eliminare l'articolo 18. Giusto o sbagliato?



Non capisco per esempio come la ferrea insistenza per l’abolizione dell’articolo 18 possa costituire un beneficio per la crescita visto che si sente dire che la sua abolizione dovrebbe consentire i licenziamenti SOLO per “motivi economici”.

Ma scusatemi, a me pare che al giorno d’oggi quando un’azienda è in difficoltà economiche, dichiara fallimento e quindi automaticamente licenzia tutti i suoi dipendenti.; se poi in qualche caso l’imprenditore lo ritiene possibile, egli riprende l’attività in maniera più ridotta e spesso riassume una parte dei vecchi dipendenti. Nel primo caso li ha licenziati tutti e nel secondo caso ne ha licenziato solo una parte.

Se non mi sbaglio quindi oggi, malgrado il vincolo dell’articolo 18, chi è in difficoltà economiche, in un modo o nell’altro può licenziare, anche perché altrimenti non avendo disponibilità economiche, potrebbe pagare i dipendenti soltanto “fabbricando moneta”. E allora a che serve introdurre questa abolizione che non fa cambiare niente per gli imprenditori e crea solo tanto scompiglio tra i lavoratori, i sindacati e l’opinione pubblica?

Ma quello che non capisco ancora, e che contrasta fortemente con il principio dell’EQUITA’, è che questa abolizione non riguarderebbe il settore pubblico. Eppure ricordo che più di una volta Monti ha affermato che non si può cedere alle "corporazioni".

Intanto io faccio questo ragionamento:

Se vogliamo perseguire la CRESCITA dobbiamo effettivamente mettere le aziende in condizione di produrre di più, meglio e con minori costi; le prime due esigenze si possono ottenere, ma potrebbero richiedere maggiori costi perché richiederebbero altra mano d’opera e altri cervelli; mentre la sola riduzione del personale rischierebbe invece di far diminuire la produzione.

Ci sono però alcune cose a cui sembra che nessuno pensi, e sono l’assenteismo e la fannullaggine. Sappiamo tutti che nelle aziende sono sempre presenti un buon numero di assenteisti e di fannulloni; costoro apportano benefici quasi nulli all’azienda stessa anzi qualche volta costituiscono addirittura un peso da cui non ci si riesce a difendere; in pratica questi individui sono per le aziende un carico economico che non produce profitto.

E allora mi domando come mai si vuole abolire l’articolo 18 per “motivi economici” e non si è pensato invece di abolirlo prima per “scarso rendimento”.

Oltre tutto se lo si abolisse per scarso rendimento si potrebbe anche ricorrere in maniera molto più blanda agli ammortizzatori sociali, visto che chi perde il lavoro è  in questo caso l’unico responsabile dell’accaduto. E quindi non potrebbe certo accampare diritti.

Naturalmente, almeno per motivo di equità, questa abolizione dovrebbe essere attuata per tutti, settore pubblico compreso dove gli assenteisti e i lavativi abbondano, e così si avrebbe la possibilità di mandare a casa un gran numero di esseri inutili alla società.

Ora, se soltanto la metà di questi lavoratori inutili venisse sostituita con giovani volenterosi che oggi appartengono alla categoria dei disoccupati, si otterrebbe contemporaneamente:
  1. Una riduzione dei costi sia per le imprese che per lo Stato dato che si licenzierebbero n individui e se ne assumerebbero n/2.
  2. Una maggiore produttività per le aziende considerando che i licenziati producevano ZERO mentre i nuovi assunti produrrebbero sicuramente qualcosa.
  3. Una maggiore qualità dei servizi dello Stato con conseguente riduzione dei tempi di servizio, cosa che costituirebbe danaro per tutti coloro che che li devono utilizzare.
  4. Una  riduzione delle spese dello Stato per gli ammortizzatori sociali visto che per questi licenziati gli ammortizzatori sociali sarebbero adottati in maniera meno protezionistica.
  5. Una riduzione della disoccupazione visto che una parte dei senza lavoro andrebbe a sostituire parte dei licenziati.
  6. Uno snellimento dell’amministrazione pubblica.
  7. Un forte incentivo al lavoro onesto per tutti, visto che il lavoro disonesto non sarebbe più protetto.
A mio avviso dei VERI SINDACATI questo dovrebbero pretendere ed invece assistiamo soltanto ad affermazioni del tipo “l’articolo 18 non si tocca” o “i lavoratori devono essere tutelati” senza che si faccia mai riferimento alle grandi differenze che esistono tra i lavoratori DISONESTI e quelli ONESTI, cosicchè le protezioni continuano ad avvantaggiare i primi in danno dei secondi.

Si fa tanta guerra all'evasione fiscale, si combattono i falsi invalidi, ma sembra che non ci si preoccupi affatto dei "falsi lavoratori"; eppure a me pare che la colpa di costoro è almeno pari a quella dei primi.

Un'ultima cosa voglio dire: essa mi è stata suggerita dall'atteggiamento dei miei figli (che per mia e loro fortuna appartengono tutti alla categoria dei lavoratori ONESTI); essi sono piuttosto preoccupati dalla possibile eliminazione dell’articolo 18 e quando ho chiesto loro come mai lo fossero e di cosa avevano paura, mi hanno risposto che nel nostro Paese dove tutto si fa per interessi personali, paventano che liberalizzando in qualche modo i licenziamenti, i primi ad essere espulsi non sarebbero i peggiori, ma i meno raccomandati.

Questo è verissimo, ma non mi sembra che per evitare ciò ci si debba assoggettare a mantenere dei lavativi.

Occorreranno quindi, come si sta dicendo per la verità, che si fissino regole precise affinchè chi ha ragione lo possa dimostrare e possa essere preservato dal pericolo del licenziamento in favore dei raccomandati.  

Franco Fellicò

1 commento:

Ugo Mocci ha detto...

Tutta la fase di concertazione tra governo e parti sociali sull'art.18 si è svolta sulla base di una Nota di Policy e non su un preciso articolato di legge. Questo accade spesso, ma quando le discussioni si fanno sui principi a volte emergono timori e posizioni ideologiche che creano allarme sociale, che riduce le possibilità di accordo. C'è da dire poi che anche se si disponesse di un articolato, bisognerebbe esaminare nel merito la casistica o i criteri specifici atti a individuare le condizioni di “difficoltà economiche” dell'impresa che possono giustificare il licenziamento. Tutto queste cose non sono mai state esplicitate e quindi la nostra inevitabilmente è una discussione parziale e destinata a continuare.
Con l'art.18 vigente, valevole per le aziende con oltre 15 dipendenti, vengono gestite situazioni di difficoltà economiche a carattere collettivo con l'indicazione della procedura preliminare da seguire presso l'Ufficio Provinciale del Lavoro per la verifica delle motivazioni aziendali e, eventualmente, dei criteri di riduzione del personale da adottare.
Il nuovo art.18 sotto quale aspetto innoverebbe il vecchio per la fattispecie dei licenziamenti per motivi economici ? Potrebbe farlo per tre aspetti: introdurre licenziamenti a carattere indiduale; introdurre una diversa caratterizzazione delle “difficoltà economiche”; un ampliamento dei provvedimenti adottabili dal giudice (reintegro o compenso economico).
Il punto più chiaro mi sembra l'ultimo aspetto; l'aumento dei provvedimenti possibili fa pensare anche a un qualche cambiamento degli altri aspetti, nel senso di un ampliamento delle circostanze che giustificano la sussistenza di difficoltà economiche dell'impresa.
Un'osservazione che si può fare è che la prima formulazione di principio dell'art.18 applicava agli altri lavoratori il contratto dei dirigenti per i quali, in caso di licenziamento ingiustificato, è previsto solo un'indennità di entità variabile fino a un massimo di 22 mensilità in funzione dell'anzianità di servizio e dell'età. In tale caso l'indennità è dovuta, nella stessa misura, anche se il dirigente trova subito un reimpiego. La questione va considerata alla luce di quanto accade dopo il licenziamento in caso di ricorso giudiziale. La causa si protrarrebbe per anni (8-10 anni per i tre gradi di giudizio) e certamente già solo per questo il lavoratore si cercherebbe con impegno un nuovo lavoro e, in questo caso, per la maggior parte dei casi l'indennità economica sarebbe più vantaggiosa del reintegro (in tal caso il risarcimento economica sarebbe pari alle mensilità non lavorate + le eventuali differenze retributive tra vecchio e nuovo impiego). Senza contare che difficilmente il lavoratore ha interesse a tornare in un'azienda a lui ostile, se non è ancora disoccupato.
Il fatto che il sistema giustizia non funziona rende quindi, di fatto, comunque preferibile il compenso economico al di la di ogni considerazione ideologica o di tranquillità del lavoratore.
Il licenziamento per “scarso rendimento” mi sembra di questi tempi poco realistico, dopotutto l'azienda comunque ha molti altri modi, meno drastici, per esercitare pressioni sul lavoratore “disonesto”, sia di tipo economico (mancati riconoscimenti ad personam), sia di altro tipo (rigidità sugli istituti contrattuali, spostamenti in altri ruoli, ecc).
Grande confusione ha creato la questione se il nuovo art. 18 sarà applicabile anche ai lavoratori della Pubblica amministrazione. A riguardo se ne sono sentite incredibilmente di cotte e di crude. Segnalo l'utile sintesi e l'informativa contenuta in questo articolo apparso nel sito del Forum della PA
http://saperi.forumpa.it/story/65544/articolo-18-gli-statali-tanta-confusione-chi-giova?utm_source=FORUMPANET&utm_medium=2012-03-27